Ma quando gli alisei soffiano da nord-est a sud-ovest nell’emisfero settentrionale e da sud-est a nord-ovest nell’emisfero meridionale, rispondono a un complotto? Stanno eseguendo un mandato politico? Nossignore. Quello degli alisei è un comportamento naturale. Com’è naturale, nel dna dei due Stati egemoni della storia europea – Francia e Germania – il comportamento al quale hanno improntato la loro smaccata strategia di predominio su tutti gli altri Paesi membri dell’eurozona. In particolare sulla prima vittima delle loro manovre, oltre che di se stessa: la Grecia. Sulla cui implosione economica le banche tedesche e francesi hanno lucrato quanto hanno potuto salvo poi abbandonare il Paese a se stesso e alla Trojka e a uno spaventoso impoverimento collettivo.



Era ora che i due padroni dell’Eurozona scegliessero una nuova preda. Avevano provato a farlo nel 2011, evocare una Trojka anche nella – peraltro demeritevolissima – Italia e completarne la spoliazione, peraltro già ampiamente in atto. Sulla loro strada si è però frapposto, e non per motivi patriottici, un grande italiano, Mario Draghi, che giocando d’astuzia, ovvero negli interstizi degli angusti regolamenti europei e sfoderando un memorabile Quantitative easing e quel monito – “whatever it takes”, a qualunque costo – che disarmò la speculazione mondiale e rimise sui binari la macilenta locomotivuccia italiana.



Sono passati otto anni di guai, da allora. Secondo l’Ocse, la classe medio-bassa italiana si è impoverita del 10%, sempre da allora. Oltre 12 milioni di persone hanno meno soldi da spendere di quanti ne avevano nel 2011. Il quadro politico, otto anni fa dominato da un declinante ma ancora combattivo Berlusconi, si è spopolato di leader e popolato di figurine di imbarazzante inconsistenza professionale e culturale, sia in quanto leader politici che in quanto uomini di governo.

Nella gestione della “crisi più pazza del mondo” è spuntata ieri sera, come figura-chiave – quasi come pietra filosofale politica capace di trasformare il brodo primordiale in un Governo – il premier uscente e rientrante Giuseppe Conte. Che ha incontrato sulla sua strada due potenti endorsement: quello di Trump, che gli ha – sì – storpiato il nome (in “Giuseppi”), ma gli ha dato un grande appoggio; e quello di Macron, il presidente francese, che detestava dichiaratamente Salvini, non capisce e non si fida dei Cinquestelle, ma apprezza in Conte il grand commis istituzionale in stile Ena (la mitica scuola francese per burocrati pubblici) che peraltro il premier quasi ex e quasi neo non è mai stato.



Apprezzerà soltanto questo? Ah, saperlo. Tra i dietrologi italiani c’è chi individua, tra i due, il nesso della massoneria internazionale, di cui Macron è sicuramente il pupillo. Ma sono chiacchiere. La sostanza è un’altra. La sostanza è che, con l’imminente nascita del Governo giallo-rosso a guida Conte-bis, il nostro Paese torna all’ovile europeista, archiviando le smanie sovraniste della Lega tutta e di frange dei Cinquestelle. Le archivia e si affida alla clemenza della Corte, cioè al giudizio della nuova Commissione europea, per quanto riguarda i margini strettissimi di discrezionalità sulla politica fiscale che i trattati europei lasciano, bontà loro, ai singoli Paesi.

Conte scriverà la finanziaria 2020 sotto il dettato della Commissione von der Leyen. Senza sgarrare una virgola. Dentro la manovra ci sarà una robusta voce “privatizzazioni”. Povera di sottostante: salvo alcune perle come Fincantieri e Leonardo. Passeranno ai francesi? Questi non aspettano altro. Nel nostro Paese hanno già fatto carne di porco, sono lì col tovagliolo annodato sotto il mento, pronti a ricominciare. Proprio su Fincantieri, Macron ci ha dimostrato – appena eletto – quanto poco europeista sia nella realtà. Ha cancellato il decreto del Governo precedente che autorizzava la Fincantieri a comprare i cantieri Saint Lazaire e ha preteso che non venisse concesso agli italiani quel che lo era stato ai coreani, cioè di avere la maggioranza. Come a dire: i coreani sì, gli italiani no.

Che piaccia o meno, il quadro è questo. La domanda sarebbe: riuscirà il governo Conte-2 a prendere da Parigi e da Berlino semmai indicazioni, ma non ordini? Forse sì: ma quel che sta per cominciare, sarà comunque un ottobre incandescente.

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