A conclusione della crisi di governo con la nascita del secondo Governo Conte, il Capo dello Stato ha rivolto un breve e denso saluto alla stampa. In particolare ha offerto all’opinione pubblica una considerazione di rilievo costituzionale che sollecita qualche riflessione. “Una volta che, in base alle indicazioni di una maggioranza parlamentare, si è formato un governo, la parola compete al Parlamento e al Governo”. In altri termini, il compito del Capo dello Stato si è concentrato nella fase della costruzione del nuovo Governo; ora spetta ai componenti del nuovo esecutivo e alla nuova maggioranza in Parlamento assicurare attuazione e stabilità dell’indirizzo politico adesso concordato.



Quale è stato, dunque, il ruolo del Capo dello Stato nella soluzione di questa crisi di governo? Innanzitutto, si è determinata la soluzione che stavolta, e sin dall’inizio della crisi, il Presidente Mattarella aveva dichiarato come unica realistica alternativa rispetto alle elezioni anticipate: la formazione di “governi che ottengano la fiducia del Parlamento, in base a valutazioni e accordi politici dei gruppi parlamentari su un programma per governare il Paese”. A differenza della travagliata vicenda che aveva portato al primo Governo Conte, di fronte a questa crisi la netta ed esplicita posizione del Capo dello Stato ha posto le forze politiche davanti ad un bivio secco: trovare l’accordo o sottoporsi al giudizio popolare. Nessuna sponda a percorsi extra-ordinem, nessun mandato esplorativo, nessuna possibilità di governi tecnici, neutrali o del Presidente.



Inoltre, circa il merito della soluzione, il Capo dello Stato ha espressamente ribadito il carattere strettamente parlamentare della nostra forma di governo: non sussistendo alcuna scelta o indicazione popolare né del premier, né della coalizione o del partito governante, le maggioranze si formano, e quindi possono liberamente modificarsi, in Parlamento – e dunque dopo le elezioni – sulla sola base delle “indicazioni” delle forze politiche. I rappresentanti della nazione, come possono decidere di contrapporsi al governo cui inizialmente avevano dato vita, possono decidere di affiancarsi a partiti da cui inizialmente erano distanti o addirittura contrapposti.



Insomma, nelle parole del Presidente è chiaro il saldo convincimento che il radicale cambiamento della maggioranza parlamentare non costituisca in alcun modo un vulnus dei principi democratici o della Costituzione. E che non sia contrario al buon funzionamento delle istituzioni il fatto che il nuovo esecutivo, nato in seguito ad un sostanziale ribaltamento dell’indirizzo politico su molteplici fronti (dall’Europa all’immigrazione, dalla politica economica alle riforme istituzionali), sia guidato dal medesimo Presidente del Consiglio che aveva diretto il governo immediatamente precedente. Quanto è avvenuto, sembra implicitamente avvertire Mattarella, è responsabilità prima e ultima delle forze politiche, e saranno queste ultime a risponderne agli elettori al momento del rinnovo del Parlamento.

In definitiva, trova conferma la tesi secondo cui la nostra è una forma di governo parlamentare sotto “tutela presidenziale” variabile ed eventuale, variabile nelle modalità in cui si estrinseca ed eventuale a seconda delle specifiche contingenze. Rispetto a quanto avvenuto con altri Capi dello Stato, più o meno recenti, Mattarella sta esercitando la funzione di tutela senz’altro in modo più discreto e riservato nelle forme, ma con non minore decisione e capacità di incidenza, soprattutto nei momenti particolarmente delicati delle nostre vicende istituzionali. Se pure è vero che non siamo una repubblica presidenziale, la vigilanza e la guida presidenziali sono sempre attive.