Matteo Renzi ha governato l’Italia con “pieni poteri” per mille giorni. Gliel’aveva consegnata – assieme alle leadership monocratica del Pd – il presidente (Pd) della Repubblica Giorgio Napolitano, senza passare per alcun voto democratico ma solo per le primarie di partito e attraverso l’esonero extraparlamentare di Enrico Letta.



Quest’ultimo guidava un esecutivo di coalizione dopo che il Pd aveva fallito la vittoria alle elezioni 2013, al pari del precedente “premier del Presidente” Mario Monti. E come a Monti e Letta, anche a Renzi è stato costantemente necessario il supporto di Silvio Berlusconi. L’ex sindaco di Firenze ha sempre potuto contare sull’indispensabile aiuto parlamentare di Denis Verdini: membro aggiunto del “giglio magico” toscano, quello che l’allora direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli bollò come “stantio odore di massoneria”, dopo le minacce di Renzi ai giornalisti del quotidiano (Verdini rischia oggi il carcere per una condanna legata al crack di una Bcc fiorentina, più pesante di quella che ha condotto dietro le sbarre Roberto Formigoni).



Renzi ha fondato una fragile legittimazione popolare unicamente sul voto europeo del 2014, dopo la distribuzione in corsa degli 80 euro. Poi è stato sconfitto in tutte le consultazioni elettorali interne. È stato clamorosamente battuto in un referendum costituzionale che era essenzialmente su lui stesso. E il Pd è stato dimezzato nel suo peso parlamentare – toccando minimi storici – nel voto politico che ha giudicato un quinquennio pieno di governo del centrosinistra: vuoto di ripresa e di occupazione; ipertassato eppure schiacciato da un debito addirittura cresciuto; pieno di migranti fuori controllo; disseminato di macerie bancarie; alla mercé non meno della Grecia dei super-poteri sovranazionali assortiti, pubblici e privati. È l’Italia drammaticamente e simbolicamente crollata un anno fa a Genova: quella “privatizzata” da Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi presso i “capitalisti democratici” Benetton.



Il Pd “diversamente renziano” ha perso anche le europee del maggio scorso: quelle che hanno definitivamente legittimato la Lega di Matteo Salvini a chiedere di misurarsi con il governo di un paese in crisi. Un paese per ora vittima di progetti di governo tutti falliti sul terreno critico della ripresa economica: ultimo quello di M5s, senior partner della maggioranza gialloverde e titolare della presidenza del Consiglio con Giuseppe Conte e della vicepresidenza “allo sviluppo e al lavoro” occupata dal leader pentastellato Luigi Di Maio.

Il Pd sconfitto alle europee – assieme a tutta la vecchia socialdemocrazia continentale –  ha tuttavia ottenuto dalla Francia di Emmanuel Macron la presidenza dell’europarlamento con David Sassoli (e l’arruolamento del dem-prodiano Sandro Gozi nell’esecutivo dell’Eliseo ne è stato pegno visibile). M5s – pure frantumato dopo un solo anno alle urne italiane – ha mercanteggiato i suoi voti a Strasburgo nella grottesca designazione di Ursula von der Leyen al vertice della nuova Commissione Ue. L’ex ministro del governo Merkel è stata votata in Consiglio Ue dal premier italiano ma non dal cancelliere tedesco Merkel; non è’ stata votata dai socialdemocratici tedeschi a Strasburgo e ha dovuto ricorrere al salvagente offerto dai seguaci di Beppe Grillo, cani sciolti nell’europarlamento, finora infrequentabili per tutti, perfino per i Verdi.

Ora i “perdenti” italiani vorrebbero governare contando sull’appoggio reciproco dei “perdenti” europei. Già si intravvede il copione: al governo italiano “di salute pubblica” verrà concesso ciò che a Salvini non verrebbe mai concesso (e come sdebito per “aver messo fuori causa Salvini”, ha già prefigurato Stefano Folli su Repubblica). Poi un uomo del Fmi come Carlo Cottarelli – forse neppure in cambio di un laticlavio a vita come per Mario Monti – disegnerà una manovra a misura di quei parametri di Maastricht ormai screditati ovunque: qualche dose di patrimoniale utile per compiacere i falchi dell’Europa carolingia e rifinanziare nel Sud Italia il reddito di cittadinanza, sottraendo risorse e soprattutto fiducia in quelle quattro Regioni del Nord che producono il 70 per cento del Pil e il 90 per cento dell’export, Qualcosa verra scopiazzato dal piano di investimenti “Verdi” in affannosa preparazione in Germania, ma nella versione italiana finirà prevedibilmente per favorire i colossi pubblici Eni ed Enel, magari con l’impegno della Cdp e di qualche ex industriale trasformatosi in finanziere/lobbista. Per non parlare del rilancio delle cosiddette “energie alternative”: finora più oggetto di inchieste giudiziarie che soggetto di sviluppo.

Ma vi sono pochi dubbi che l’Europa dei perdenti si mostrerà magnanima con l’Italia dei perdenti. Naturalmente a patto che i porti italiani vengano esemplarmente riaperti alle Ong tedesche e olandesi. Del resto nel governassimo italiano il ministro degli Esteri è già designato: Emma Bonino, emissaria italo-europea di George Soros, quella che firmò gli Accordi di Dublino.