Stop agli spostamenti nelle regioni rosse e arancioni, didattica a distanza dalla seconda media alle superiori, chiusura di negozi, bar e ristoranti nelle zone a massimo rischio, coprifuoco dalle 22 alle 5: sono alcune delle misure che il governo ha varato fino al 3 dicembre per contrastare l’epidemia di Covid-19, che continua nella sua corsa: 30.550 i nuovi casi di coronavirus, a fronte di 211.831 tamponi eseguiti; i decessi nelle ultime 24 ore sono stati 352 (39.764 dall’inizio della pandemia), mentre aumentano di 67 unità le terapie intensive (2.292 in tutto). La domanda, che si ripete ormai da giorni, è sempre la stessa: basteranno queste nuove misure restrittive, adottate a meno di dieci giorni dal precedente Dpcm e quindi prima che le stesse possano produrre i primi effetti, a mitigare l’epidemia? Ma se questa nuova “linea Maginot” dovesse fallire, che cosa si dovrebbe fare? “Penso che la soluzione migliore oggi – osserva Augusto Panà, responsabile del servizio di Epidemiologia e controllo delle infezioni correlate all’assistenza del Policlinico Universitario di Tor Vergata a Roma – sia quella di essere drasticamente restrittivi. Parlo da medico e non da economista: riattiverei subito un lockdown totale molto stretto, che dovrebbe durare almeno un mese”.



Casi positivi, terapie intensive e decessi aumentano. Che cosa ci stanno dicendo le curve epidemiologiche?

Ci dicono che i casi sono in aumento perché aumentano i tamponi eseguiti e che l’incremento dell’infezione è inevitabile, perché il tracciamento non ha avuto grande successo.

Aumentano i positivi ma non i casi severi. Che cosa significa?



E’ la conferma che questo virus ha una bassa letalità, soprattutto se consideriamo l’elevato numero di positivi che si scoprono. E’ leggermente superiore alla letalità dell’influenza tradizionale.

Eppure ospedali e pronto soccorso sono sotto pressione. Perché?

Il caos attuale deriva dal “rumore” e dalla paura scatenati intorno a questa pandemia. I cittadini non sono stati molto rassicurati. Se ieri con un raffreddore o qualche linea di febbre si stava a casa il tempo necessario per far passare l’influenza, oggi di fronte a qualsiasi forma clinica di questo genere, anche la più leggera, si corre subito a intasare i pronto soccorso. Una pressione che nessun ospedale in nessuna parte del mondo può reggere.



L’allarme sul Covid è giustificato o esagerato?

Quando è iniziata la pandemia, era molto esagerato, poi ha continuato a essere piuttosto esagerato e adesso è ancor più esagerato.

La strategia di test & tracing è saltata? Come si può ripristinare?

La soluzione migliore oggi penso sia quella di essere drasticamente restrittivi.

Il governo ha varato un lockdown definito soft. Che ne pensa?

Parlo da medico e non da economista: io riattiverei subito un lockdown totale molto stretto.

Per quanto tempo?

Ripensando all’esperienza dello scorso marzo, dovrebbe durare almeno un mese.

Divieto di spostamenti fra regioni ad alto rischio e coprifuoco serale: funzioneranno?

E’ il minimo che si può fare guardando alla situazione che si è creata in certe regioni. E’ giusto adottarle, anche se non so quali risultati potrà sortire nel complesso di tutta la pandemia.

Ma i modelli epidemiologici dovranno pur prevedere qualche effetto, non crede?

Vero, ma questo è un virus un po’ strano nel suo comportamento.

In che senso?

La maggior parte dei contagiati non ha il benché minimo sintomo, quasi non se ne accorge e sta meglio nel giro di poco tempo, però ci sono casi, anche di giovani, che sono deceduti per questa infezione in breve tempo.

Ma questo non succedeva anche con l’influenza tradizionale?

Pensi solo una cosa: se davanti all’influenza tradizionale qualcuno avesse pensato di sottoporre la popolazione a un test con i tamponi così massiccio come mai era stato fatto prima, chissà quanti sarebbero stati trovati positivi, anche a distanza di tempo. E mi domando: quanta gente, malata, anziana e con altre patologie, è morta per e durante un’influenza classica?

La sua risposta?

Il loro numero è non di molto leggermente inferiore a quello dei morti per Covid, però nessuno ha mai creato questo caos generalizzato e ha mai intasato gli ospedali, nemmeno durante l’asiatica del 1957, che pure è stata un’epidemia grossa e importante. E questa considerazione non vale solo per l’Italia, ma anche per Europa e Stati Uniti.

Che consigli si possono dare alle persone che avvertono i sintomi di Covid?

Ci dovrebbe essere il coinvolgimento del medico di famiglia, che non dovrebbe decidere di mandarle direttamente nei pronto soccorso ospedalieri.

I medici di famiglia però si lamentano dei tagli subiti in questi anni e ora si ritrovano con numeri esorbitanti di assistiti. Davanti a un’epidemia così contagiosa, dicono, non è possibile visitare tutti i pazienti con sintomi a domicilio. Come se ne esce?

Bisogna destinare più medici e infermieri sul territorio. Questa sarebbe una misura sacrosanta, ma siamo in grave ritardo: andava fatto molto, molto prima. L’assistenza sanitaria territoriale è in grave crisi, è stata ridotta, in certe regioni anche pesantemente. I dipartimenti di prevenzione, che sono la base della sanità territoriale, sono ridotti al lumicino e carenti di personale, sia medico che infermieristico. In queste condizioni è impossibile fare il tracciamento. E tutto questo, assieme al comportamento soprattutto dei giovani, è una delle cause che hanno facilitato la diffusione dell’epidemia.

E’ stato un errore anche smantellare a suo tempo il Cdc? Sarebbe stato utile oggi?

Certo, avrebbe avuto un positivo ruolo operativo di concerto con il ministero.

Giusto dividere l’Italia in tre zone e graduare le misure di contrasto a seconda del livello di rischio calcolato con l’indice Rt?

Non è sbagliato dal punto di vista teorico scientifico, ma non so se avrà successo dal punto di vista epidemiologico.

Questa estate durante la tregua dell’epidemia si è perso tempo prezioso per attrezzarci alla seconda ondata?

Moltissimo.

Quali sono stati gli errori più gravi?

Soprattutto la sistemazione delle aule scolastiche: si è provveduto troppo tardi, a ridosso dell’apertura dell’anno scolastico. Una scelta gravissima.

E i trasporti? Sono potenziali focolai molto pericolosi?

Assolutamente sì. Adesso si vorrebbe ridurre la capienza dei mezzi pubblici al 50%, ma queste misure funzionano solo sulla carta, la realtà è ben diversa, basta andare alle fermate di bus e metro…

L’assessore alla Sanità della regione Lazio, D’Amato, ha detto: “Siamo pronti alla battaglia di Roma”. Com’è la situazione nella capitale? E nelle grandi città il virus è ormai fuori controllo?

Fuori controllo è forse a Milano. A Roma non si può dire, perché adesso tutto si gioca sulla capacità ricettiva degli ospedali. Il problema è lì e non sulla salute delle persone, visto che il virus ha bassa letalità. A Roma e in altre città ci sono ancora posti di terapia intensiva disponibili e utilizzabili.

(Marco Biscella)

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