Impossibile in questo momento storico individuare un filo conduttore, una scelta realistica che possa riportare una convivenza mondiale meno concitata e allontani quella che oramai è battezzata senza mezzi termini “la crisi dell’ordine”. In questi anni si sono accumulate troppe contraddizioni, sono emersi troppi contrasti, magari non tanto nel merito di quanto accade veramente.
Ma di fronte ai grandi mutamenti storici che sono emersi in campo economico, sociale, nell’organizzazione del lavoro, dell’istruzione e nelle continue e sempre più importanti necessità nel mondo della sanità, sembra che nessuno abbia in mente e risponda in termini realistici, vada al cuore del problema, ma piuttosto si continui a riproporre contrapposizioni che appartengono alle ideologie e alle teorie del passato. E addirittura, rispetto alla realtà storica che inevitabilmente avanza, c’è pure chi coltiva sogni immaginifici di rivincita da una parte o dall’altra. È il segno più evidente della realtà modesta dell’attuale classe dirigente mondiale.
L’ultima notizia di ieri è il ritiro dal Libano di tre nazioni come Francia, Norvegia e Belgio, che invitano i loro cittadini a lasciare il paese dopo che gli israeliani hanno deciso di sferrare un attacco in seguito al missile sparato sul Golan che ha ucciso 12 persone tra cui dei ragazzi che giocavano al pallone. Se si vuole un quadro della giornata, bisogna consultare alla mattina il bollettino delle varie guerre, che si concentrano in Ucraina e nel Medio Oriente, ma che ormai sono solo il quadro principale della crisi mondiale. Poi ci sono i vari tempi che alimentano questo scenario incandescente.
Guardiamo schematicamente quello che sta succedendo e che prevedibilmente caratterizzerà i fatidici cento giorni fino alla elezione del nuovo Presidente americano.
Emergono in questi giorni tutti i retroscena che hanno mantenuto Joe Biden alla Casa Bianca. Non sembra possibile che i vari leaders dei democratici non abbiano considerato lo stato di salute e il lento crollo fisico di Biden. Più realistico ritenere che Biden potesse rappresentare la riconferma di una scelta democratica che condannava definitivamente Donald Trump e lo toglieva dallo scenario politico mondiale e americano. Ci sarebbero stati altri a condurre le trattative per cercare di ripristinare l’ordine e per riparare alle contrapposizioni inquietanti.
Il tempo è stato inclemente e ora Kamala Harris si trova nelle condizioni di aprire un nuovo scenario. Ma basterà questo tempo? E quale esatta immagine, nei vari stati, si ha di Kamala Harris? In più ci sarà anche da valutare i tanti problemi che Trump ha cavalcato e hanno trovato un largo consenso.
Ma se è incerta la nuova partita americana, che si giocherà nelle prossime settimane sul filo del rasoio, fa impressione la pochezza e la debolezza dell’Unione Europea, che in questa grande crisi dell’ordine dovrebbe svolgere un ruolo importante, dopo la difesa a oltranza dell’Ucraina e il suo coinvolgimento nella Ue e in futuro anche della Nato. Ma mai come in questo momento, l’Unione Europea sembra debole e sfilacciata. Ursula Von der Leyen sembra avere una maggioranza “insicura”, con il vecchio asse franco-tedesco che appare sempre più debole.
Se i francesi sono coinvolti in Olimpiadi che passeranno alla storia come le più disertate dagli spettatori presenti e da quelli davanti allo schermo, è quello che si nota nel suo complesso del Paese che mette paura. Macron sta pagando un prezzo carissimo per fermare Marine Le Pen. L’operazione di Maron è stata positiva quando ha messo il cordone sanitario intorno alla destra, ma Macron doveva necessariamente pensare al dopo, al governo che ancora non c’è e non si vede, alla riconferma della presidente dell’Assemblea nazionale che si regge su una maggioranza relativa, al presidente del Consiglio dimissionario, ai disordini e ai boicottaggi che continuano a verificarsi nonostante la mobilitazione di 35 mila poliziotti e diecimila soldati.
Realisticamente, che credibilità può avere la Francia in questo momento a livello internazionale?
Se si passa alla Germania, le speranze non sono tanto diverse. I socialdemocratici che hanno il Cancelliere sono il “terzo partito” e arrivano dopo i neonazisti, mentre ci si prepara a votare in land della ex Germania Orientale dove i neonazisti spopolano letteralmente.
In più, c’è una consistenza della CDU-CSU, l’alleato dei socialdemocratici, che hanno vinto e che pare vogliano nuove elezioni. Perché? Evidentemente perché non sono soddisfatti degli equilibri interni al Paese, che poi si riversano sull’Europa.
Mettiamoci anche l’Italia in questo concerto stonato dell’Europa. Dopo non aver votato la Von der Leyen, Giorgia Meloni stabilisce un rapporto con la Cina, mentre la compattezza del suo governo comincia a vedere dei rischi. Si vota in Liguria fra tre mesi e le polemiche sul Governatore si sprecano. Ci sono in più leprese di posizione di Salvini, ma soprattutto non si dovrebbe trascurare l’atteggiamento di una realtà come Mediaset che, con i figli di Berlusconi, pare reclamare con insistenza una Forza Italia più di centro e non sembra del tutto soddisfatta dell’attuale governo, che dovrà affrontare una finanziaria da brividi. Che cosa ha lanciato Mediaset, un avvertimento?
Se mettete insieme tutte queste realtà, vediamo i protagonisti occidentali della crisi molto più in difficoltà di quelli orientali.
Basteranno cento giorni a riequilibrare una simile situazione? Ma soprattutto basteranno a evitare che la crisi dell’ordine diventi una rottura?
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