La settimana pre-natalizia è stata contraddistinta dal no della Camera alla ratifica della riforma del Mes e dal compromesso raggiunto, con un assenso non troppo convinto da parte italiana, sulle nuove regole del Patto di stabilità e crescita che entreranno in vigore il prossimo anno. Su entrambe queste notizie abbiamo chiesto un commento a Sergio Cesaratto, professore di politica fiscale e monetaria europea al DEPS-Università di Siena e autore di Sei lezioni di economia e Sei lezioni sulla moneta (ambedue per Diarkos).



Cosa pensa dell’accordo finale raggiunto sulla riforma del Patto di stabilità e crescita?

Mah, è finita come doveva finire. La verità è che l’Europa è irriformabile. È discesa in una valle finendo in una palude. In via di principio avrebbe la forza di tirarsene fuori e andare avanti, ma ci si dovrebbe aiutare a vicenda. I Dna non sono però programmati per farlo, mentre tornare indietro è impossibile perché il vecchio assetto (monete nazionali) è irrimediabilmente franato. Un Patto di stabilità c’è anche negli Stati Uniti, o fra le nostre regioni. Ma poi ci sono bilanci federali o nazionali e, negli Usa, una banca centrale alle spalle del Governo. In Europa non si va oltre una politica di paletti e vincoli. Non è così che si fa la politica economica. Ma un Governo federale in Europa non si avrà mai.



Perché un giudizio così pessimista?

Magari fossimo una nazione come gli Stati Uniti, con una politica fiscale, monetaria ed estera decise giorno per giorno rispetto alle sfide contingenti in vista di quelle di lungo periodo. Sottolineo l’importanza della politica estera, perché se ci si fa condurre dagli Usa in una guerra assurda poi lo si paga pesantemente. Politica estera vuol dire politica energetica, ed energia vuol dire inflazione. E inflazione vuol dire tassi di interessi alti. E tassi alti vuol dire che chi ha molti debiti deve tirare la cinghia in una fatica di Sisifo per ridurre il debito.



Non c’è nessun elemento positivo nell’accordo sulla riforma?

No, perché continua a non esserci una vera governance economica europea e continueremo ad assistere a penose contrattazioni fra Paesi e Commissione sui saldi di bilancio e il rispetto dei sentieri di discesa di disavanzi e debito. Comunque va ricordato, perché lo si dimentica spesso, che a controllare i saldi e i sentieri sono in primis i mercati finanziari e non la Commissione. Un problema per l’Italia di tranquillizzare i mercati tenendo sotto controllo disavanzi e debito c’è a prescindere. Il problema si attenuerebbe solo con una diversa governance europea che assicurasse all’Italia tassi di interesse più bassi.

L’Italia aveva espresso perplessità sul fatto che potesse essere raggiunta un’intesa in videocollegamento, ma dopo l’annuncio di Le Maire-Lindner di martedì è sembrata esserci una svolta: il nostro Paese è stato “costretto” a dire sì all’accordo o temeva di restare da solo nel dire no?

Non c’era una proposta alternativa. La proposta della Commissione, che abbiamo già commentato su queste pagine, era appena meno rigida. Diciamo che in quella proposta la contrattazione politica fra Commissione e Paesi aveva più spazio, una cosa che ai tedeschi non andava già da tempo bene. Secondo il think tank Bruegel, la proposta della Commissione resta in vigore, viene solo irrigidita con obiettivi di bilancio prefissati. Ma ripeto, un po’ di flessibilità in più non risolve il problema di fondo: l’assenza di una governance economica europea simile a quella americana, e la tirannia dei tassi di interesse. Bruegel stima che una volta che quegli obiettivi saranno a regime, l’Italia sarà obbligata ad avanzi primari (al netto della spesa per interessi) del 4%. Insomma, una garanzia di austerità perpetua. Secondo Eurointelligence, per Francia e Italia le regole sono inapplicabili, per cui fra un po’ di anni saremo daccapo a ridiscuterle.

Che impatto avrà questa riforma sulle future manovre e scelte di politica fiscale?

L’impronta della politica di bilancio rimarrà rigorosa. Niente di nuovo dati i tassi di interessi e le politiche di bilancio ultra-restrittive di Berlino.

È stata intanto bocciata la ratifica della riforma del Mes da parte italiana. Cosa ne pensa?

Vedremo cosa ne pensano i mercati. Se non ne pensano nulla, come sembra, vuol dire che dopotutto la riforma del Mes è irrilevante. Gira poi la storia che il Mes serva ai salvataggi bancari: ma non era prima di tutto un fondo salva-Stati? Il Mes attuale è inoltre già preposto ai salvataggi delle banche, indirettamente concedendo prestiti ai Governi per ricapitalizzare le banche (lo ha fatto nel 2012-2013 a favore di Spagna e Cipro); o direttamente quando il prossimo anno verrà completato il fondo salva-banche europeo costituito sulla base di contributi delle medesime banche. Siccome tale fondo di salvataggio è stato istituito dopo il Mes, il nuovo-Mes certamente perfeziona i meccanismi istituzionali degli interventi, ma non più di questo. Un eccitato Salvini ci ha spiegato che bocciando il Mes abbiamo salvato i risparmiatori italiani dal contribuire al salvataggio delle grandi banche tedesche. Mah… mi sembra che, come nelle polemiche da bar, non si sa più dove era cominciata la discussione.

E dove era cominciata?

Che io ricordi, in origine le questioni erano due: il nuovo Mes enfatizzava di più la ristrutturazione dei debiti dei Paesi ricorrenti al fondo, e ciò poteva preoccupare i mercati dato che tali ristrutturazioni implicano tagli ai crediti privati verso quello Stato. Questa era la preoccupazione principale, anche di Bankitalia mi sembra, almeno inizialmente.

E la seconda?

L’Italia vorrebbe l’approvazione dell’assicurazione europea sui depositi fino a 100 mila euro, assicurazione che i tedeschi osteggiano fino a quando le banche italiane non si disfano di gran parte dei titoli del Tesoro italiano che hanno in pancia. Ma questo sarebbe destabilizzante per il nostro debito. Comunque, caro Salvini, non si può rifiutare il ruolo del Mes come salva-banche (sistemiche) e poi chiedere l’assicurazione unica sui depositi. Ma cosa sia l’onestà intellettuale questi politici non sanno dove sia di casa.

Possiamo dire di aver scampato un pericolo (Mes), ma di aver dovuto incassare una “sconfitta” con la riforma del Patto di stabilità?

FdI e Lega hanno dovuto mostrare il muso duro sul Mes dopo la magra figura sul Patto di stabilità. In una perfetta tradizione delle dittature la capa del Governo è a casa con l’influenza. Non perdono, però, al Pd il suo atteggiamento privo di nerbo. Né basta al M5s votare contro il Mes per darsi una strategia di politica economica. Riconosco, però, che darsela non è facile.

Secondo lei, i due dossier (riforma del Patto di stabilità e ratifica della riforma del Mes) erano legati?

Nel teatrino dell’assurdo che è l’Europa sono collegati. Ma negli Stati Uniti non c’è nessun Mes. Là gli Stati dell’Unione rispettano il pareggio di bilancio, e a perequare i redditi pro-capite fra Stati, a contrastare il ciclo economico, ad affrontare le crisi bancarie, ecc. ci pensa Washington. E poi c’è una politica estera, non commendevole, ma che certo fa in primis l’interesse americano. Noi siamo nella palude e si provvede affinché i più deboli abbiano almeno bocca e naso fuori del fango, ma solo perché nel panico potrebbero tirare giù anche gli altri. Un valoroso collega economista raccontava che il cancelliere Schmidt a metà anni Settanta commentò un prestito della Bundesbank alla Banca d’Italia dicendo che si doveva solo tenere il Belpaese fuori dall’acqua quel tanto da farla respirare. Questa era ed è l’Europa che piace tanto alla Schlein, non ce n’è un’altra.

Cosa cambia per l’Europa dopo la mancata ratifica della riforma del Mes da parte italiana?

Francesi e tedeschi ne approfitteranno per ribadire l’inaffidabilità dell’Italia. Quanto è brava la Spagna così ossequiosa.

E come esce a suo avviso l’Europa dopo il lungo iter per la riforma delle proprie regole fiscali?

Anch’essa esausta, rancorosa e senza futuro. L’Europa, poi singoli Paesi potranno certamente cavarsela meglio di noi. Per l’Italia con oltre 100 miliardi di euro di interessi sul debito nei prossimi anni e con le nascite ridotte al lumicino sarà un cupio dissolvi.

(Lorenzo Torrisi)

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