L’accordo sulla riforma del Patto di stabilità e crescita continua a tener banco nel dibattito politico e accademico. Secondo l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, si tratta di un accordo “migliorativo”, anche perché “è stata introdotta la flessibilità intelligente”. Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, preferisce invece parlare di “continuazione dell’austerità stupida. Anche se questo non basta a far comprendere a cosa stiamo andando incontro”.
Da che punto di vista?
Dobbiamo prendere atto di essere entrati in una nuova era, che renderà l’Ue ancora più irrilevante nel contesto globale, perché incapace di reagire dinamicamente ai tanti eventi che circonderanno noi, ma soprattutto le future generazioni. Il nuovo Patto di stabilità è più austero e più iniquo del precedente.
Perché?
Perché tratta i Paesi in maniera sensibilmente diversa, chiedendo a quelli con un debito/Pil più alto di attuare politiche fiscali austere, che deprimeranno ancora di più il Pil facendo di fatto crescere ulteriormente il rapporto debito/Pil, e consentendo a quelli che invece sono meno indebitati rispetto al Pil politiche fiscali espansive che incrementeranno la loro crescita. Il risultato sarà l’ampliarsi delle divergenze all’interno dell’Ue e questo farà aumentare gli scetticismi sul progetto europeo che dovrebbe essere di unione e non di disunione. Dall’accordo della scorsa settimana esce, quindi, sconfitta la democrazia europea, perché ha ceduto all’attore tecnocratico chiamato Commissione europea, che avrà più poteri. È bene ricordare che in nessun altra parte del mondo c’è un organismo tecnocratico che stabilisce cosa debbano fare singoli Paesi sovrani. Eppure qualcuno potrebbe persino dire che siamo all’alba di un’unione fiscale.
Non è così?
Chi lo sostiene dovrebbe tornare sui banchi di scuola, perché l’unione fiscale è un’unione politica, non tecnocratica. Emerge, quindi, in maniera plastica che l’Ue per i prossimi decenni non avrà i tratti dell’area federale statunitense a cui ha sempre sperato di assomigliare, dato che quest’ultima ha una caratteristica peculiare: in 250 anni non è mai rimasta priva di una politica fiscale anti-ciclica a supporto dell’economia. In particolare, dal New Deal di Roosevelt in poi non c’è stato mai un momento in cui un singolo Stato negli Usa abbia temuto di non ricevere il supporto di Washington in caso di difficoltà. I singoli Stati membri dell’Ue, invece, non saranno tutti nelle condizioni di poter agire autonomamente per fronteggiare situazioni avverse e questo renderà estremamente fragile tutta l’Unione. La responsabilità italiana in tutto questo è grande, soprattutto per il partito della Premier che ha condotto la trattativa.
Al tavolo dei negoziati c’era, però, il ministro dell’Economia…
Credo che in via XX settembre ci sia una miopia di fondo che non stupisce perché c’è sempre stata, ma è ovvio che il riferimento ultimo della trattativa fosse palazzo Chigi. Al contrario delle opposizioni che hanno ipocritamente criticato il Governo, ma nulla avevano fatto di diverso negli anni precedenti, il partito della presidente del Consiglio, pur avendo raccolto il consenso di una gran parte degli italiani, non ha sentito il dovere di mettere in gioco tutto se stesso per chiedere un Patto che fosse diverso da quello che ci ha condotto nell’ultimo decennio a rapporti debito/Pil altissimi a causa dell’austerità che porta a tassi di crescita mostruosamente incapaci di venire incontro alla sofferenza delle persone. Ora siamo scoperti e quando l’inverno verrà non si potrà dire nient’altro che “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Visto che abbiamo una Premier che si prende le responsabilità delle scelte fatte, deve prendersi anche questa. Anche perché è evidente che l’Italia, in questa trattativa, ha perso una duplice occasione.
A che cosa si riferisce?
In primo luogo, è stata persa l’occasione di battere un colpo in Europa. La strategia stava funzionando alquanto bene, dato che il Governo aveva fatto capire che non avrebbe approvato un nuovo Patto che non contenesse una protezione esplicita per quella che cosa così importante per tutto il continente che sono gli investimenti pubblici. Tuttavia, dopo l’annuncio di Francia e Germania sul raggiungimento di un accordo, questa strategia è venuta meno. Inoltre, il Governo non è stato in grado di proporre, in cambio di una vera politica fiscale anti-ciclica, una riforma della capacità di spesa della Pubblica amministrazione.
Se, come ha detto prima, il nuovo Patto di stabilità è più iniquo del precedente e amplia le divergenze nell’Ue, come mai nessun Paese si è opposto?
Credo per una mancanza di leadership collettiva. Per tutti ha pesato una grande incognita: lasciare aperte le trattative a pochi mesi dalle elezioni europee che avrebbero potuto cambiare i termini della partita. Si è, quindi, preferito portare a casa un risultato sicuro. Il problema è che questo Patto di stabilità, che ci accompagnerà per lungo tempo, porterà presto o tardi a una sconfitta di tutti i partiti cosiddetti conservatori, perché una cosa che sappiamo dell’austerità è che con essa populismi ed estremismi crescono a dismisura.
Questo probabilmente avverrà dal 2027, quando verranno meno le “attenuanti” su investimenti e impatto degli alti tassi di interesse sul servizio del debito…
Questa è un’altra miopia del Governo italiano: aver barattato per due noccioline il futuro del Paese. Pensare che la presenza del Pnrr e lo scomputo di parte della spesa per gli interessi sul debito possano attenuare l’austerità è una vittoria di Pirro. I veri leader si distinguono per il guardare oltre il ciclo elettorale.
Secondo lei, gli effetti del nuovo Patto di stabilità si vedranno già dal prossimo anno?
>Non dobbiamo dimenticare il contesto in cui ci troviamo. Tra il 2020 e il 2024 gli Stati Uniti cresceranno dell’8,5% contro il 4% dell’Eurozona, grazie a un deficit su Pil che non casualmente è doppio rispetto a quello europeo. E fino al 2033 gli Usa prevedono di mantenere il deficit/Pil sopra il 6%, mentre con il nuovo Patto di stabilità i Paesi europei dovranno subito convergere verso l’1,5%. Non è un caso che gli operatori economici abbiano già rivisto al ribasso le stime sul Pil dell’Europa per il 2024, l’ha fatto anche la Bce portandole al +0,8% dal precedente +1%. È questo il modo con cui l’Ue vuole affrontare le sfide epocali dell’ambiente, dell’IA, delle materie prime strategiche, dei conflitti bellici, della sicurezza? È questa la potenza di fuoco che l’Europa può dimostrare? Credo che sia evidente chi, tra Usa e Ue, capisce quali sono le priorità globali e guida e chi da Stato vassallo segue.
In questo quadro c’è qualcosa che il nostro Paese potrebbe fare per evitare le conseguenze peggiori del nuovo Patto di stabilità e crescita?
Bisognerebbe muoversi per mettere il Paese in sicurezza, come si fa con i passeggeri di un aereo che sta precipitando. È evidente che occorrono investimenti pubblici che si estendono anche al capitale umano presente nella sanità e nell’istruzione e le risorse necessarie vanno trovate, visto che non si può fare più deficit, tramite una vera spending review che elimini gli sprechi, i quali si possono individuare solo investendo sui giovani e sui professionisti per irrorare di nuovo la Pubblica amministrazione come fecero i nostri nonni nel secondo dopoguerra. È ovvio, però, che questa operazione non la può fare il Governo, né chi siede all’opposizione, visto che nelle aule parlamentari è ritenuta assolutamente irrilevante.
Chi può farla allora?
Occorre portare al centro del dibattito pubblico la questione di rendere scintillante la Pubblica amministrazione, in modo che sia tra le priorità nell’agenda politica di un leader futuro che speriamo un giorno verrà.
(Lorenzo Torrisi)
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