Nei prossimi mesi, prima della fine della legislatura europea, dovrebbe essere definitivamente approvata la riforma del Patto di stabilità e crescita. Tuttavia, come ci spiega Massimo D’Antoni, docente di scienza delle finanze nell’Università di Siena, nonostante si parli di nuove regole, resta la “logica che ha guidato l’Unione in questi anni”, “che non ha saputo garantire né crescita, né stabilità”.
Cosa pensa dell’accordo finale raggiunto settimana scorsa sulla riforma del Patto di stabilità e crescita?
In una precedente intervista avevo espresso diverse critiche alla soluzione indicata dalla Commissione, quella della precedente bozza. Mi pare che siano riusciti a peggiorarla in modo significativo. Il testo uscito da Ecofin vanifica le aperture che si potevano trovare nella precedente versione.
Quali elementi ritiene siano più negativi?
Ricordiamo che gli obiettivi dichiarati della riforma erano: uscire alla logica per cui le stesse regole devono valere per tutti allo stesso modo (“one size fits all”), attenuarne il carattere prociclico (ovvero la tendenza a creare austerità nelle fasi recessive), rendere i vincoli meno complessi e più trasparenti ed eliminare il disincentivo agli investimenti. L’esito mi pare deludente su tutta la linea. Le pressioni tedesche hanno reintrodotto obiettivi di riduzione rigidi e uniformi sul deficit e sulla diminuzione del debito. Resta, e anzi nella nuova formulazione torna a essere esplicito, il riferimento al saldo strutturale, i cui caratteri prociclici sono stati evidenziati in questi anni. In luogo di un’unica regola, quella relativa all’evoluzione della spesa primaria netta, torna un intreccio di vincoli sui saldi, sia correnti che strutturali, che mantiene l’opacità del sistema di regole. Si introduce la considerazione per gli investimenti, ma si tratta di un elemento consegnato alla discrezionalità della Commissione e alle priorità da essa definite, tra le quali sembrano acquistare sempre più peso gli investimenti di carattere militare.
Non ci sono elementi positivi?
Come dicevo, il giudizio è decisamente negativo rispetto alla bozza della Commissione che è circolata in questi mesi. Rispetto all’impianto precedente, resta l’abbandono della “regola del debito”, che prevedeva una riduzione del rapporto debito/Pil molto maggiore rispetto all’uno per cento annuo previsto nel nuovo schema. Se la regola precedente era inapplicabile perché ci avrebbe fatto affogare, diciamo che questa è rimodulata per tenerci a galla. In questo senso, potremmo parlare di un passo avanti. Per il resto, francamente mi riesce difficile trovare qualcosa da salvare.
Secondo il ministro dell’Economia Giorgetti, “ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto”. Cosa ne pensa?
Non ha spiegato quali siano le cose positive. Ovviamente, Giorgetti non può dire che l’Italia è stata tagliata fuori dalla definizione del compromesso finale, negoziato tra Francia e Germania. Immagino che ciò che rivendica come vantaggio per l’Italia sia solo lo “sconto” previsto per i primi tre anni per i Paesi soggetti a procedura per deficit eccessivo. Dando per acquisito che nel 2024 l’Italia, con altri Paesi, sarà messa sotto “braccio correttivo”, ciò che si è ottenuto è un impegno a non considerare la parte di deficit derivante dall’aumento dei tassi di interessi. Indubbiamente un alleggerimento del sentiero di correzione dei conti pubblici, ma se la logica è quella di ottenere un vantaggio nell’immediato in cambio di regole più rigide per il medio-lungo periodo, si tratta del tipico orientamento del politico che punta a guadagnare tempo avendo in mente l’orizzonte della legislatura in cui governa, mentre il domani… come nel famoso film, è un altro giorno.
L’Italia aveva espresso perplessità sul fatto che potesse essere raggiunto un accordo in videocollegamento, ma dopo l’annuncio di Le Maire-Lindner del 19 dicembre è sembrata esserci una svolta, tanto che si è arrivati all’accordo in videocollegamento: il nostro Paese è stato “costretto” o “tirato per la giacchetta” o temeva di restare da solo nel dire no alla riforma?
Qui bisognerebbe chiedere a qualche fonte interna informata. Certo, con la Spagna impegnata a fare da mediatrice (e blandita, si dice, con la nomina di Nadia Calviño alla Bei) e la Francia che alla fine ha cercato l’accordo diretto con la Germania, l’Italia si è trovata, come spesso accade, in posizione isolata. Ricordiamo peraltro che per la riforma delle regole fiscali da parte del Consiglio dell’Ue non serve l’unanimità, quindi nessun paese ha potere di veto.
L’esito è una “vittoria” della Germania?
Alla fine le proposte tedesche, quella sulla riduzione minima del rapporto debito/Pil e la richiesta che l’aggiustamento prosegua finché il deficit strutturale non sia portato all’1,5%, sono entrate nel testo, pur se con qualche aggiustamento ottenuto, immagino, dalla Francia. Alla vigilia si diceva insistentemente che le vicende interne al Governo tedesco avessero determinato un irrigidimento del ministro delle finanze Lindner, quindi più che di vittoria della Germania dovremmo parlare di una vittoria dell’ala rigorista dell’Esecutivo tedesco, che aveva necessità di tenere buono il proprio elettorato. Se sia una vittoria per l’economia tedesca resta discutibile: anche la Germania avrebbe bisogno di una stagione di investimenti e di rilancio e in questo senso la riforma delle regole continua a rappresentare una gabbia che lascia poco spazio di manovra a tutta l’Europa, non solo ai Paesi con alto debito pubblico come l’Italia.
Che impatto avrà questa riforma sulle future manovre e scelte di politica fiscale?
Non solo l’Italia, l’Europa nel suo insieme dovrebbe in questo momento puntare su investimenti pubblici e privati, su una trasformazione della sua economia per affrontare le sfide dei prossimi anni. Ci sarebbe bisogno di un rilancio, che dovrebbe essere coordinato a livello di Unione. Invece continua a prevalere una visione ideologica improntata alla diffidenza reciproca e, quindi, all’imposizione di limiti, paletti e controlli
L’austerità è stata veramente accantonata in Europa?
Non direi e temo che in Italia ce ne accorgeremo presto, visto l’aggiustamento dei conti pubblici che ci verrà imposto. Ancora aspetto delle proiezioni affidabili, ma in ogni caso si parla di parecchi punti di Pil di correzione del saldo primario. Ricordo che un punto di Pil equivale a quasi 20 miliardi di euro. Mi sembra chiaro che ci attenda una nuova stagione di austerità. Se a questo aggiungiamo che il Governo intende utilizzare gli esigui spazi di manovra per la sua discutibile riforma fiscale, non è difficile immaginare quanto poco resterà, ad esempio, per il nostro sistema di istruzione e per la sanità pubblica…
Come esce a suo avviso l’Europa dopo questo lungo iter per la riforma delle proprie regole fiscali?
Non nutrivo grandi speranze nella riforma delle regole, ma pensavo che potesse rappresentare almeno un primo passo in direzione di un abbandono della logica che ha guidato l’Unione in questi anni, con il suo Patto di stabilità e crescita che non ha saputo garantire né crescita, né stabilità. Mi pare che l’esito sia riuscito a deludere anche i pessimisti.
(Lorenzo Torrisi)
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