La bozza del nuovo piano pandemico per l’Italia è pronta e sarà sottoposta al vaglio delle regioni. Lo stato attuale del piano pandemico era fermo al 2006, il piano era stato rinnovato nei bienni successivi restando sostanzialmente invariato nei contenuti. Il nuovo piano per il biennio 2021-2023 mette a frutto le lezioni della pandemia Sars-CoV-2 e segna l’introduzione di nuovi criteri. Fra questi, il principio già stabilito nell’ultimo protocollo per le terapie intensive, riguardante la scelta su chi salvare in caso di risorse limitate. “Quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità”, recita il testo, “i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne beneficio”. La centralità della persona e la solidarietà sono i principi etici a cui è ispirato il piano, che include naturalmente anche le strategie per fronteggiare l’intensificarsi delle emergenze. Ancora dal testo: “L’esperienza del 2020 ha dimostrato che si può e si deve essere in grado di mobilitare il sistema per aumentare nel giro di poco tempo sia la produzione di mascherine e dispositivi di protezione individuale a livello nazionale che i posti di terapia intensiva anche per far sì che non si verifichino disservizi nell’assistenza e nella cura delle persone affette da malattie ordinarie diverse dal Covid-19 quanto comuni”. Ne abbiamo parlato con Girolamo Sirchia, ministro della Sanità nel secondo governo Berlusconi (2001-05).



È da poco stata approntata la bozza del nuovo piano pandemico. Qual è la sua prima impressione?

È un po’ difficile dare un giudizio, io ho letto quello che è stato diffuso e la mia impressione è questa: primo, andava fatto, ben venga che cominci ad apparire un piano, anche se non è ancora approvato. Secondo, questo è uno schema di piano, non il piano vero e proprio. Il vero piano, per come è stato impostato, sarà la traduzione di ognuno dei capitoli in azione, per evitare che al momento buono non ci ritroviamo solo con la teoria in mano e, ad esempio, senza mascherine e altri dispositivi di protezione individuale.



Una bozza che ancora non risponde all’operatività che andrà messa in atto?

La definirei una prima bozza di schema di piano, da completare nel dettaglio con l’analisi specifica, caso per caso. Una terza cosa che non capisco è che si parla di un piano nazionale e di piani regionali, il piano però deve essere fatto insieme, ci dovrebbe essere un unico luogo di collaborazione fra governo e regioni, per cui le regioni applicano le regole centrali. Qui c’è una divisione fra Stato e regioni che credo non sia funzionale.

Naturalmente il piano prevede anche strategie emergenziali per l’intensificazione della produzione di mascherine e altri dispositivi individuali oltre che dei posti letto in terapia intensiva. Questo è stato uno dei fronti su cui l’emergenza ci ha sorpreso, com’era naturale, più impreparati.



Certo, perché però non c’è la sincerità di dire: signori, abbiamo sbagliato, non abbiamo finanziato per anni la sanità, ci siamo trovati senza i medici del territorio perché non erano stati individuati nemmeno i sostituti dei medici che andavano in pensione? Mi chiedo se risponderà mai nessuno di quello che è successo.

Le sembra manchi una risposta adeguata a fronte dell’esperienza pandemica ancora in corso?

In alcuni passaggi si ha l’impressione che si voglia quasi giustificare la mancanza del piano per il contrasto alle epidemie che si doveva fare da 15 anni. È come se si dicesse: questo è il piano per l’influenza che va fatto perché è raccomandato dagli organismi internazionali, il piano che l’Italia si era dimenticata di fare e che ora, visto che ci siamo, applichiamo anche al Covid. Insomma, questa non è una giustificazione sufficiente per il fatto di non disporre di un piano aggiornato dal 2006.

Ci spieghi meglio.

Il piano vale per tutte le epidemie, non solo per l’influenza, ed è un discorso valido dalla spagnola in poi. Mi sembra insomma che ci sia un maldestro tentativo di rimediare all’assenza di umiltà e di un’ammissione delle proprie responsabilità, che è quello che sempre manca in Italia.

Il piano eredita le lezioni della pandemia ancora in corso, come la necessità di applicare un principio di scelta fra chi salvare in caso di scarse risorse. Cosa ne pensa?

Sono molto preoccupato da questo punto e personalmente non lo condivido. Mi sembra una questione così delicata, vogliamo che sia il ministero a deciderne? Io sarei molto prudente sull’esprimermi su questi temi. Chi decide chi ha titolo e chi non ha titolo a essere salvato? Chi decide chi ha diritto a sopravvivere? Sono questioni che non si possono affrontare con questa leggerezza e tantomeno con regole burocratiche. È qualcosa che urta la mia sensibilità in modo pesantissimo.

Fra i principi etici che hanno ispirato il piano, la centralità della persona e la solidarietà. Qual è il suo giudizio in questo senso?

Su questi temi non credo debba essere il ministero a manifestare la propria opinione e a tradurla in un articolato di norme.

Chi dovrebbe decidere?

È un problema bioetico, c’è un Comitato nazionale di bioetica che dovrebbe intervenire ed esprimersi, non si può mettere una cosa di questa portata dentro una normativa organizzativo-gestionale che non ha nulla a che vedere con l’etica. Sono temi che non competono al ministero della Salute ma a organismi più elevati sul piano etico, questioni così delicate che non vorrei essere al posto di chi prende di queste decisioni. Per non parlare del fatto che andrebbe considerato anche il sentimento religioso delle persone.

Un altro punto cardine è il rispetto della privacy della persona e della sua sfera privata. Questa esigenza in particolare è condivisibile?

Questo è giusto, c’è sempre un principio di libertà dell’individuo, che deve poter decidere delle cure e anche rifiutarle. È il classico problema dell’accanimento terapeutico su cui si è ormai giunti a delle consapevolezze: c’è il diritto inalienabile dell’individuo a decidere, se è in grado di intendere e volere, se non lo è serve una persona o una commissione che sostituisca questa sua possibilità di decidere, magari facendo riferimento a documenti che la persona ha scritto, eccetera, ma come ho detto questo è un nodo che è stato già ampiamente affrontato.

Il piano nel suo complesso risponde secondo lei adeguatamente alle esigenze che questo nuovo, inaspettato futuro ci profila?

Tutte le epidemie sono nuove e proprio per questo un piano dovrebbe prevedere scenari diversi e modalità diverse per affrontarli. Quello che m’impressiona di più però è un altro fenomeno.

Quale?

Quello per cui in questo Paese tutti parlano, spesso a sproposito, ognuno butta avanti idee, ipotesi, e non c’è un pensiero che guidi l’azione, ci sono solo azioni estemporanee. Per carità, non voglio sottacere il valore di nessuno, molti hanno fatto bene e si sono impegnati tanto, ma manca un pensiero guida.

A cosa sta pensando in particolare?

Presentarsi dopo 15 anni senza un piano pandemico – e non siamo i soli – significa essere una nazione senza un pensiero guida, in cui nelle poltrone non siedono le persone giuste, quelle competenti, esperte, ma persone messe lì per altri interessi. Questo dimostra che la politica è intesa come occupazione di poltrone per fare affari. Non entro nel merito di singoli partiti, parlo di tutti i campi, non solo della politica. È soltanto il merito, come conoscenza e capacità professionale, a far sì che quel posto serva alla collettività e non agli interessi personali.

(Emanuela Giacca)

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