Un piano vaccini più rapido ed efficiente, utilizzando tutte le strutture disponibili, facendo ricorso a medici di base e pediatri, coinvolgendo nei centri vaccinali il personale di Protezione civile, forze di polizia, forze armate e volontariato. Obiettivo: a partire da aprile, quando arriverà il grosso delle forniture di vaccini, arrivare a somministrare 500mila dosi al giorno, 6 milioni di italiani al mese. Perché solo mettendo in sicurezza in tempi brevi la popolazione con un’immunizzazione di massa sarà possibile far ripartire l’economia. Su queste linee intende muoversi il neopresidente del Consiglio, Mario Draghi, che già venerdì ha avviato un primo giro d’orizzonte sul nuovo piano vaccinale che verrà delineato nei prossimi giorni. Che cosa serve per far funzionare questa macchina potente ma delicata? Ci sono errori da correggere rispetto al piano Arcuri? Giusto guardare al modello inglese? Ne abbiamo parlato con Luca Lanini, professore di Logistica all’Università Cattolica di Piacenza e membro del comitato scientifico del Freight Leaders Council.



Nel suo intervento al Senato, Mario Draghi, per garantire rapidità ed efficienza alla campagna vaccinale, ha detto che “abbiamo il dovere di rendere le vaccinazioni possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private”. Spazio a caserme, palazzetti, stadi, parcheggi degli ospedali e fiere. È una buona scelta?



Sì, è una buona scelta utilizzare gli spazi già esistenti senza costruirne di nuovi. Il problema è non essere troppo generali.

Che cosa intende dire?

Ci sono da organizzare i flussi. L’idea logisticamente migliore è identificare tre grandi flussi, secondo la legge di Pareto. Il primo è un flusso di massa, che dovrebbe andare al 20% dei centri vaccinali, di grandi dimensioni, interessando l’80% delle persone da vaccinare, affiancato sulle ali da due flussi laterali, che debbono coprire il 20% rimanente: da una parte, il flusso degli ospedali e delle Rsa; dall’altra, un flusso periferico, con i medici di base che vanno a vaccinare a domicilio i malati, gli anziani, chi abita in luoghi isolati e disagiati. Ciascuno di questi flussi dovrà avere un modello logistico e organizzativo diverso, su misura.



In concreto?

Il grande flusso centrale ha bisogno di grandi centri vaccinali che possano arrivare ciascuno a 2.500 vaccinazioni al giorno.

Perché grandi centri vaccinali?

Perché solo questi centri possono garantire altissimi numeri, grazie alle economie di scala e ai modelli organizzativi che consentono di far girare molte persone.

È opportuno anche immaginare una logistica diversa in base alle tipologie di vaccini? Pfizer, per esempio, richiede una catena del freddo complicata, mentre Johnson & Johnson richiederà una somministrazione monodose…

La logistica di approvvigionamento dei vaccini verso questi grandi centri è unica, al netto del controllo della temperatura, che va gestito in modo diverso per ciascun tipo di vaccino. Va ricordato però che Pfizer ha annunciato che il vaccino può essere gestito anche a -20° o -25° per un periodo maggiore.

Questo semplifica le cose, non crede?

Esatto. Mentre oggi il vaccino Pfizer, una volta scongelato da -70°, può durare al massimo 5 giorni, d’ora in poi potrà resistere a -20° per una quindicina di giorni. E questo ha un effetto immediato sulla gestione delle scorte: con un lasso di tempo maggiore per la conservazione è possibile essere meno stressati sulla programmazione.

Il piano Draghi dice praticamente addio alle primule. Che ne pensa?

Giusto cancellarle, perché l’idea delle primule era totalmente sbagliata. Erano aree piccole e da realizzare ex novo, quindi sprecando risorse. In più si basavano sulla concezione logisticamente errata del vaccino che andava incontro al cittadino. Invece vale il principio contrario: è il cittadino che va al vaccino all’interno di strutture ottimali. Le primule non erano né carne né pesce, cioè né una grande area vaccinale efficiente per il flusso centrale dell’80%, né un’area di somministrazione periferica per i due flussi laterali del 20%.

L’obiettivo di Draghi è di mettere in campo più personale, coinvolgendo Protezione civile, forze di polizia, forze armate e volontariato. Questo potrebbe consentire di accelerare l’allestimento dei centri vaccinali? Vanno delineati bene i compiti di ciascuno?

Un conto è il numero totale di personale utilizzato, un conto è la qualifica di questo personale. Se oggi negli ospedali ricorriamo a personale sanitario nella gestione anche di accessi e uscite, togliamo personale alla fase di somministrazione diretta. A parità di numero, va dunque più che bene affidare il controllo degli accessi a personale volontario, in grado di garantire comunque la massima efficienza e sicurezza. Un centro vaccinale richiede un numero di figure ampio, ma non tutte addette a preparazione e somministrazione delle dosi.

L’obiettivo è immunizzare 19 milioni di italiani entro giugno, al ritmo di 500mila somministrazioni al giorno. Obiettivo che può essere raggiunto?

Se si attivano tra i cento e i 200 grandi punti vaccinali, ciascuno in grado di somministrare 2.500 dosi al giorno, sarà possibile vaccinare, in una fisarmonica che si può via via allargare o restringere, tra le 250mila e le 500mila persone al giorno.

Giusto lasciare alla struttura commissariale la gestione degli acquisti delle fiale, ma non la logistica? Andrebbe creata una struttura di comando ad hoc?

Le due funzioni devono essere separate. La funzione di acquisto richiede un’analisi di centralizzazione, con l’individuazione degli hub in cui far arrivare le fiale. La logistica degli arrivi va però scorporata, anche perché Arcuri l’ha gestita male.

Draghi guarda al modello inglese. Che cosa ci può insegnare?

È un modello di segmentazione che si basa proprio sulle cose che ci siamo detti, a partire da un’analisi dettagliata dei tre flussi. Si chiama inglese perché gli inglesi intelligentemente lo hanno messo in atto, ma è lo schema che era stato disegnato dagli esperti di diversi paesi già dalla fine del 2020.

C’è un punto debole del vecchio piano che dovrebbe essere senz’altro corretto?

Il punto debole del vecchio piano era l’assenza di un piano che prevedesse flussi diversi, logistiche diverse e ben segmentate, tenendo conto di tutta la supply chain: arrivo, stoccaggio, somministrazione dei vaccini.

Dovesse dare un consiglio, che cosa suggerirebbe di fare?

Un piano che tenga conto dei tre flussi che abbiamo ricordato all’inizio, ciascuno con un peso diverso e un’organizzazione diversa. E va creata una struttura operativa di gestione logistica più tecnica. In questa prima fase della campagna vaccinale gli operatori logistici hanno dimostrato di saper fare bene il loro mestiere di consegna dei vaccini là dove servono.

Va da sé che un nuovo piano vaccini più rapido ed efficiente regge solo se i vaccini arrivano senza tagli di consegne né ritardi

Premesso che produrre un vaccino non è cosa semplice, perché non basta avere il brevetto e avere una fabbrica, è ragionevole pensare che da qui a breve la produzione entrerà davvero a regime. Sarebbe poi giusto affrontare anche il tema delle licenze, superando il vincolo del brevetto.

(Marco Biscella)

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