Si fa un gran discutere del destino dello stadio Meazza. Non solo per i progetti presentati dalle due squadre che attualmente lo hanno in gestione. Se ne parla perché dal luglio scorso Inter e Milan hanno presentato una manifestazione d’interesse al Comune di Milano, proprietario della struttura e delle aree limitrofe. Cosicché, di fronte al rischio di una scelta impopolare che prevede la demolizione dell’attuale stadio e la costruzione di uno nuovo, il sindaco Sala ha improvvisamente riconsiderato il ruolo del Consiglio comunale chiedendo a questo di pronunciarsi in merito. Non solo il voto dei consiglieri eletti non è previsto dall’attuale normativa sugli stadi, ma non si è mai sentito che sia l’organo di indirizzo politico a doversi pronunciare su una manifestazione d’interesse da parte di soggetti privati su una specifica area.
È lo strano contesto storico che ci capita di vivere attualmente, in cui dei tecnici suppliscono alle carenze della politica venendo incaricati di formare governi e guidare ministeri e ai politici viene chiesto di fare il lavoro dei tecnici. Dacché chi è stato legittimato dagli elettori a sedere nell’aula di Palazzo Marino è un politico e non un architetto, ritengo che il ruolo dei consiglieri possa essere giocato riconducendo tutto il dibattito ad una possibilità per un intero pezzo di città di conoscere un nuovo sviluppo. Il Consiglio comunale ha l’ultima parola in materia di urbanistica, come la vicenda dell’accordo di programma con Ferrovie dello Stato ha dimostrato attraverso la delibera di indirizzo votata a inizio mandato per riqualificare 1,2 mln di metri quadri di ex Scali. Personalmente quindi non ravvedo altra possibilità di intervento da parte dei consiglieri di maggioranza e minoranza che quella di dettare linee di indirizzo generali per una trasformazione urbanistica di tutta l’area di San Siro. Non deve essere il Consiglio comunale a decidere sul “sì” o “no” all’abbattimento del Meazza.
Cosa possono fare invece i consiglieri? È convinzione di chi scrive che possano esprimersi votando una proposta che contenga sostanzialmente tre passaggi:
1. La messa a bando della struttura del Meazza e la contestuale concessione dei diritti di superficie sull’area limitrofa per 99 anni.
2. L’unico vincolo all’acquisto (e alla cessione dei diritti di superficie) è la riqualificazione e rivitalizzazione dell’intero tessuto urbano circostante per “migliorare la qualità della vita dei cittadini che vi risiedono”, in continuità con la delibera di giunta del 12 maggio 2006 relativa al trasferimento a Inter e Milan della proprietà superficiaria dello stadio.
3. Gli oneri di urbanizzazione generati dai relativi interventi di rivitalizzazione, insieme ai ricavi dalla vendita dello stadio, dovranno essere destinati da un’apposita convenzione tra amministrazione e soggetto aggiudicatario alla riqualificazione e rifacimento delle case popolari del quartiere.
Come è facilmente deducibile, i consiglieri comunali disegnerebbero (come è giusto che sia!) la cornice dentro cui può avvenire una nuova trasformazione urbanistica che abbia al centro l’interesse generale della città. Non si tratta di pronunciarsi su due rendering di due società di architettura, ma di aprire ad una libera contesa di idee e di progetti che abbia ricadute positive per i cittadini e l’abitabilità dei quartieri popolari circostanti. Potranno dunque presentarsi progetti che, come per l’avvenuto recupero di Plaza de Toros di Barcellona, non prevedano l’abbattimento della vecchia struttura, oppure altri che – come quelli che già accompagnano la manifestazione d’interesse di Inter e Milan – propongano la costruzione di una nuova. È possibile che oltre alle squadre milanesi si presentino altri soggetti privati e investitori? È probabile, ma questo è l’effetto attrattivo dei due club attualmente cointeressati. Saranno quindi proposte verosimilmente non ostili a quelle delle società sportive, perché queste ultime sono la storia e la vocazione di quel pezzo della città.
L’alternativa non è che tutto rimanga così com’è. L’alternativa è che una tra Inter e Milan, o peggio entrambe, si allontani da Milano e guardi – come sta già guardando – al vasto territorio dell’area metropolitana che offre la possibilità di individuare ipotesi diverse da San Siro. In quel caso non solo sarebbe più difficile, ma addirittura impossibile attrarre privati e investitori che prendano in gestione lo stadio e rivitalizzino un contesto urbano caratterizzato quasi esclusivamente dall’attività della Snai e dalle relative scommesse di cui vive l’ippodromo. Tutto ciò senza contare il rischio di danno erariale per il Comune, “gravato dalla necessità di mantenere un impianto quale l’attuale stadio cittadino in condizioni di efficienza e di sicurezza, con altissimi costi gestionali/manutentivi che non troverebbero un bilanciamento nella limitata (posta l’assenza delle squadre calcistiche locali Milan e Inter) possibilità di utilizzo dell’impianto stesso” (cfr. Del. 02/02/2006). Ciò sarebbe vero anche nel caso in cui una delle due squadre optasse per rimanere a San Siro, a favore della quale magari l’amministrazione si deciderebbe a concederne la proprietà a condizioni imparagonabili a quelle che si potrebbero verificare con una gara a evidenza pubblica deliberata oggi da Palazzo Marino. È dunque nell’interesse generale della città che i club non abbandonino Milano. Fuor da ogni ipocrisia, questi sono disposti a rimanere se messi nelle condizioni di registrare nei rispettivi bilanci ricavi da stadio superiori a quelli attuali al fine di investire maggiori risorse su giocatori, tecnici, allenatori, ecc. (ad oggi non ricavano dal Meazza neppure la metà di quello che ricavano gli altri top club internazionali). La contropartita per il Comune può e deve essere il recupero di importanti risorse finanziarie da investire nella ristrutturazione degli alloggi popolari.
Ad oggi, oltre ai grandi interventi come allo Scalo Romana grazie agli investimenti privati di Prada e Symbiosis, o alle ricadute sul quartiere Isola dovute alla rigenerazione di Porta Nuova, gli interventi pubblici a favore delle periferie si riducono ad uno. Si tratta di quello sul Lorenteggio finanziato con 55 mln di fondi europei del programma 2014-2020, e impegnati nella demolizione e ricostruzione di alcuni edifici del quartiere, nella riqualificazione degli alloggi popolari, nell’efficientamento energetico della scuola di via dei Narcisi, nell’edificazione della nuova biblioteca di via Odazio e nella sistemazione di alcune strade e degli spazi a verde.
Il sindaco Sala, che gode degli effetti delle grandi trasformazioni urbane ereditate dal passato, dovrebbe essere coerente con il suo storytelling della città proiettata sul futuro e a vocazione internazionale. Se non si accontenta di dimostrarlo limitandosi a indossare le calzette arcobaleno in occasione del gay pride, il primo cittadino colga l’opportunità di una nuova grande rigenerazione urbana offerta dal dibattito sul destino dello stadio Meazza.