Gli approfondimenti sul welfare locale costituiscono una pista di lavoro di significativa importanza che il Meeting di Rimini ha offerto al dibattito pubblico, per ripensare il sistema sociale con risposte nuove ed assolutamente non rinviabili. Ripensamento che vede in prima linea i territori, curando l’infrastrutturazione materiale e immateriale dei servizi di prossimità. È il caso dell’assistenza domiciliare alle persone anziane, evitando le ospedalizzazioni di lungo periodo che sono di fatto un “non luogo” per la persona, con effetto negativo sulla sua salute, aggravando, al contempo, le condizioni finanziarie del già fragile sistema sanitario.



Occorre sperimentare percorsi innovativi, come i recenti orientamenti normativi indicano, ma allo stato mancano le risorse necessarie. Di pari importanza i servizi all’infanzia e all’adolescenza: la rete degli asili nido, abbandonato il criterio della spesa storica a favore di un reale monitoraggio dei bisogni delle comunità, registra notevoli miglioramenti, specialmente in alcune fasce territoriali del Mezzogiorno, rivelandosi una considerevole opportunità per le famiglie, per la socializzazione dei bambini e delle bambine soprattutto nelle piccole comunità.



In questo scenario, centrale è il ruolo del Terzo settore. Stefano Zamagni ha proposto la definizione di “Settore civile”, in quanto l’attuale denominazione non veicolerebbe la ricchezza di valori e di ragioni di cui tale mondo è espressione, marginalizzandone l’operatività e soprattutto la sua portata culturale. Al di là di nuove definizioni, appare necessario riandare alla linfa culturale che caratterizza questa esperienza, superando concezione e prassi di una Pubblica amministrazione accentratrice, nonché l’autodelimitazione dei corpi intermedi a vantaggio di un potere locale onnicomprensivo, dannoso più del “centralismo romano”, in quanto, per vicinanza alle persone, maggiormente invadente.



Sotto il profilo della valorizzazione culturale delle realtà sociali orientate al capitale civile, appaiono lungimiranti le osservazioni contenute nella Caritas in veritate: “In questi ultimi decenni è andata emergendo un’ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. … Non si tratta solo di terzo settore, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto … Il fatto che queste imprese … assumano l’una o l’altra delle configurazioni previste dalle norme giuridiche diventa secondario rispetto alla loro disponibilità a concepire il profitto come strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 46).

È l’allargamento del concetto di imprenditorialità, secondo un significato “plurivalente e motivazioni metaeconomiche, nella pluralità delle forme istituzionali di impresa”. In ciò sta la sfida culturale per una diversa e più profonda concezione del lavoro, osservandone, nell’esperienza, la sua stessa fenomenologia: l’emergere del fenomeno umano dell’io che si desta all’opera, il suo impeto creatore davanti all’attrattiva delle “cose”, svelando la realtà intera della persona nei suoi fattori costitutivi emergenti. “Fenomenologia del lavoro”, ovvero “fenomenizzazione di personalità nuova”, secondo l’incisiva espressione di don Giussani (Luigi Giussani, Una rivoluzione di sé, a cura di Davide Prosperi, Rizzoli, pag. 92): il manifestarsi, l’operare di un soggetto per sua natura amicale, creatore di nuove forme di vita e di lavoro per l’uomo, generando capacità di lavorare insieme, di condivisione, di apertura all’altro, stimando ogni frammento di verità. È l’arte di associare, di creare sinfonia sociale: un soggetto che intraprende, secondo lo slancio della sua “ragione poietica” affezionata alla realtà, e perciò creatrice di legami in ogni ambiente e creativa di “cose nuove” in ogni circostanza storica.

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