I tre giorni del primo ponte invernale hanno portato accelerazioni importanti per il riassetto bancario post-crisi. Il fronte dell’intervento pubblico si è sbloccato con due novità: l’arrivo delle regole dell’Ue volte ad armonizzare gli aiuti di Stato al credito e, soprattutto, il via libera di Bruxelles al piano francese, che fissa un importante benchmark all’8% per il costo del finanziamento pubblico alle banche in ristrutturazione.
Entrambi gli input – quello normativo e quello finanziari – appaiono decisivi per il decollo del pacchetto “salva banche” in Italia: il decreto anticrisi varato il 29 novembre dal Governo, in questa sezione, si metteva esplicitamente in attesa della regulation comunitaria e, sull’altro versante, il confronto operativo tra il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, l’Abi e le grandi banche, era in stallo sulle condizioni di ripatrimonializzazione pubblica ai gruppi che lo avessero richiesto. Il valore sul tavolo si aggirava sul 10% ed era giudicato poco attraente dalle banche, già restie ad aprire le porte al Tesoro.
Ora c’è un riferimento d’Oltralpe al “mercato degli aiuti pubblici”, oltre che un parametro definito per il costo di bond o altre linee di credito straordinario: il tasso Bce (2,75%), una valutazione del rischio di controparte proprio di un singolo polo (di fatto il cosiddetto “credit default swap”, che per le banche italiane si aggira sul 2%) e infine un valore legato alle condizioni di tempo e rischiosità intrinseca allo strumento utilizzato (i bond subordinati perennial allo studio presso il Tesoro italiano sono ibridi di quasi-capitale e dunque comportano in teoria un premio abbastanza elevato).
Sono certamente ancora da definire le penali di disimpegno del Tesoro (si parla del 150% in caso di riscatto entro 5 anni) e la deducibilità fiscale del rendimento, ma il quadro tecnico è ormai definito. E ora la parola è definitivamente ai negoziatori. L’Abi ha in programma un esecutivo il 17 dicembre e quella potrebbe essere la sede utile per un pronunciamento del sistema bancario, prevedibilmente a favore dell’intervento pubblico “di sistema”: sia per le 10 maggiori banche quotate, sia per altre istituzioni come i due istituti centrali delle banche popolari e del credito cooperativo.
A quel punto, ovviamente, la palla tornerà al Tesoro, che dovrà valutare il fabbisogno dell’intervento (già due mesi fa Tremonti ipotizzava una ventina di miliardi, ma potrebbero crescere) e il suo finanziamento che potrebbe far leva sulle emissioni garantite della Cassa depositi e prestiti. Di questo è probabile si sia discusso in via riservata all’ultimo Comitato per la stabilità finanziaria presieduto da Tremonti, personalmente presente il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi.
Tuttavia nel weekend, il sistema ha dato segnali di forzare i tempi dell’auto-ristrutturazione, cioè con interventi “privati”. Il Banco Popolare, particolarmente punito in Borsa negli ultimi mesi soprattutto per le difficoltà di Banca Italease, ha deciso il cambio di top management: l’a.d. Fabio Innocenzi ha ceduto il posto a Pierfrancesco Saviotti, che negli ultimi giorni era stato indicato come presidente-ristrutturatore del gruppo Zaleski.
Curiosamente il ricambio dei «banchieri che hanno sbagliato» era stato ripetutamente sollecitato da Tremonti come condizione per l’intervento pubblico. Invece la quarta banca italiana (nata dalla concentrazione tra le Popolari di Verona, Novara e Lodi) ha alternato il suo vertice operativo indipendentemente dal ricorso agli aiuti pubblici e, probabilmente, pensando a un rafforzamento patrimoniale “di mercato”, analogamente a quanto ha fatto due mesi fa UniCredit. E l’advisor sarà quasi sicuramente lo stesso: Mediobanca, prevedibile garante di un’altra emissione di strumenti subordinati utili a consolidare da subito il “core Tier 1” del Banco.
Due tra le “top five” italiane, tra breve, si saranno mosse facendo ricorsa a una storica “agenzia finanziaria” tra pubblico e privato: l’istituto oggi presieduto da Cesare Geronzi dopo la lunga e travagliata successione ad Enrico Cuccia e poi a Vincenzo Maranghi. È noto che l’istituto – guidato dall’amministratore delegato Alberto Nagel e dal direttore generale Renato Pagliaro dopo l’abbandono della governance duale – gode della piena fiducia di Tremonti, che si è già avvalso del suo ufficio studi per le analisi sullo stato del sistema creditizio domestico.
È nota anche l’alta patrimonializzazione di Mediobanca e la sua ottima situazione di liquidità (al netto delle svalutazioni della partecipazione Telco-Telecom): il “doppio intervento privato” dell’istituto (che di fatto è il riferimento del pacchetto azionario implicito nelle obbligazioni convertibili UniCredit) segnala quindi un dinamismo strategico che Piazza Affari farà bene a seguire.