Il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi si è apparentemente imposto nel duro braccio di ferro ingaggiato con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sulla nomina del vicedirettore generale della Banca d’Italia. Il Consiglio Superiore di Via Nazionale ha infatti nominato ieri Anna Maria Tarantola, la prima donna a entrare nel Direttorio nella storia dell’Istituto centrale.



Una designazione interna, nel rispetto della tradizione di Bankitalia, fortemente voluta da Draghi (peraltro giunto nel 2005 al vertice di Palazzo Koch senza aver percorso la carriera di funzionario e dirigente). La decisione ha avuto i contorni del blitz nei tempi e nei modi, nonostante fosse annunciata l’uscita di Antonio Finocchiaro (vicedirettore generale assieme a Ignazio Visco e Angelo Carosio) destinato alla presidenza Covip.



Della convocazione del Consiglio Superiore (l’organo di autogoverno della banca centrale) si è avuto notizia per indiscrezione giornalistica solo sabato mattina, mentre ancora risuonavano gli echi del violento attacco di Tremonti a Draghi, giovedì sera in margine all’Ecofin di Parigi. Ora ne sono del tutto chiari i contorni: Tremonti (che formalmente dovrà controfirmare il decreto di nomina della Tarantola) è stato presumibilmente informato a cose fatte degli orientamenti del Governatore. Formalmente geloso dell’autonomia della banca e quindi sono stati ignorati i segnali lanciati dal Tesoro in direzione di una nomina condivisa su un profilo di estrazione Bankitalia ma di gradimento di Via XX Settembre (erano circolato i nomi di Roberto Ulissi e di Salvatore Rebecchini).



Ma è altrettanto chiaro che per sfuggire alla pressione esterna Draghi ha dovuto ricorrere a un inusuale viaggio di quattro giorni in Asia come presidente del Financial Stability Forum ed è qui che Tremonti ha colpito duro, parlando di «analisi demenziali» da parte dell’organismo informale di monitoraggio dei mercati del Fondo monetario internazionale. Un’espressione certamente sopra le righe nei toni, ma non del tutto infondata nella sostanza: Draghi è giunto alla guida del Fsf prima dell’esplodere della grande crisi globale ed è stato, almeno oggettivamente, compartecipe del totale fallimento degli organismi di supervisione finanziaria internazionali nel prevedere e gestire la bufera subprime.

Di più: Draghi è giunto al vertice Bankitalia dai ranghi della Goldman Sachs, la stessa che ha fornito all’amministrazione Bush il disastroso segretario al Tesoro Henry Paulson, vero responsabile dell’apocalittico autunno di Wall Street. E non è un caso che, proprio alla vigila del cruciale Consiglio Superiore, sia dovuto scendere personalmente, con un editoriale su Il Corriere della Sera, Francesco Giavazzi, il portavoce più autorevole della lobby globalista del Governatore.

Secondo Giavazzi – che ha chiesto al premier Silvio Berlusconi di tenere a freno Tremonti contro Draghi – l’esperienza del Governatore alla Goldman Sachs è stata invece utile per la comprensione di quanto sta sconvolgendo i mercati finanziari e ora le economie: argomento sicuramente non dei più convincenti, ulteriore sintomo di allarme rosso di una cerchia di economisti e tecnocrati timorosi di essere spazzati via dalle ondate di una crisi che in parte hanno creato e a lungo coperto e giustificato (è stato del resto proprio Giorgio Vittadini, durante il più recente seminario di impostazione culturale della Fondazione per la Sussidiarietà, a indicare in Giavazzi il simbolo di una escalation di “violenza culturale” da parte di circoli intellettuali screditati nel loro ruolo dalla crisi finanziaria).

È un fatto che nessun paese del G-8 (neppure gli Stati Uniti, certamente mai la Francia, la Germania, la Gran Bretagna o la Ue con la Bce) ha mai chiamato alla guida della sua massima autorità monetaria e creditizia un banchiere d’affari. E proprio in queste settimane di avvio di una faticosa ricostruzione della Vigilanza internazionale, il segnale che viene dal leader del Fsf appare contraddittorio, dando spazio a una continuità oggettivamente discutibile: da Italease alle difficoltà di UniCredit, sono molti i segnali di una Vigilanza Bankitalia non sempre prontissima adeguata sul versante dei rischi della finanza strutturata nelle banche italiane

Draghi ha comunque apparentemente avuto la sua nomina, per di più molto spendibile in chiave di mode culturali in quanto per la prima volta viene riservata una “quota rosa” al vertice di un importante istituzione del Paese. Ma è probabile che abbia dovuto pagare qualche compromesso, al di là delle acrobazie di metodo ai limiti del galateo istituzionale (con la probabile sponda del Quirinale) e personale: se Draghi è diventato Governatore, deve molto al lungo e pesante scontro vinto dallo stesso Tremonti contro l’allora Governatore Antonio Fazio.

Un primo dato di compromesso forse già rilevabile nel “sorpasso” finale della Tarantola – nata in Lombardia, a lungo attiva nelle filiali di Milano, Brescia e Varese – sull’originario candidato interno, Luigi Passacantando. Ma un secondo fattore può essere stato potenzialmente non secondario: la Tarantola, sulla carta, raggiunge l’età della pensione già nel 2009 e tra un anno, tra l’altro, chissà se Draghi (al quarto dei suoi sei anni di mandato) apparirà sempre più attratto dall’impegno negli organismi internazionali.