Ora la parola è al Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che sabato 31 maggio leggerà le sempre attesissime Considerazioni finali nel corso dell’assemblea annuale. È possibile che tra due fine settimana il nuovo Berlusconi IV abbia già mosso i pezzi sulla delicata scacchiera creditizia. Il neo-ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha già preannunciato di voler cercare tra gli sportelli bancari – in assenza di «tesoretti» apparentemente non lasciati in eredità dal centro-sinistra – almeno una parte dei mezzi per le primissime manovre, da adottare per decreto: dall’abolizione dell’Ici ai primi sostegni alle famiglie in affanno sul fronte del potere d’acquisto e dell’indebitamento.



Dove andrà a pescare Tremonti? I «rumor» citano la riapertura di un suo vecchio dossier: i «conti dormienti», cioè i depositi non reclamati da nessuno da almeno un decennio, che ammonterebbero in tutto a dieci miliardi. Ma è possibile che venga estesa alle banche anche la stretta sulla deducibilità degli interessi passivi, con l’aumento della base imponibile. Del resto – pur con le frenate registrate nel primo trimestre – le grandi banche italiane hanno registrato utili record nel 2007, nonostante le forti turbolenze prodotte sui mercati finanziari dalla crisi dei mutui subprime.
Alla «relativa solidità» del sistema creditizio tricolore ha fatto del resto riferimento lo stesso premier, in un inedito passaggio-appello nel suo discorso di richiesta di fiducia parlamentare. Un «address» meno duro e più politico dell’avvertimento lanciato da Tremonti. Berlusconi ha chiesto ai grandi gruppi creditizi di «fare uno sforzo»: accennando quindi più all’esigenza di cambiamenti di atteggiamento allo sportello sul versante dei mutui (ad esempio con moratorie e alleggerimento di costo, anche dopo l’istruttoria aperta dall’Antitrust sulla mancata liberalizzazione della portabilità); su quello del finanziamento delle piccole e medie imprese, nonché su quello della gestione del risparmio. Temi che sono del resto nell’agenda dello stesso Tremonti, il quale ha detto di aver riportato nel suo studio al Tesoro un barattolo Cirio: il ricordo dei durissimi scontri con l’allora Governatore Antonio Fazio all’epoca del crack Cragnotti e di quello Parmalat.



Ora in Via nazionale c’è Draghi che non ha mai fatto sconti alle banche italiane, anzi. Se da un lato ne ha favorito le fusioni, dall’altro ne ha messo ripetutamente sotto accusa ritardi e inefficienze nel promuovere servizi migliori a costi più bassi, non da ultimo nel settore del risparmio gestito, dove troppo spesso agiscono in modo perverso i conflitti d’interesse tra capogruppo e Società di gestione del risparmio.
Ora, sulla scorta di una vittoria elettorale travolgente, uno schieramento notoriamente lontano dalle grandi centrali bancarie (più in sintonia col Pd) ha messo sotto pressione politica il settore e lo stesso ruolo dell’authority di Via Nazionale: più propensa a criticare il sistema partendo dalle dinamiche della globalizzazione finanziaria, oggi peraltro un po’ indebolite. Ragion di più per attendere con curiosità toni e contenuti dell’allocuzione di Draghi, il quale resta comunque chiamato anche a dare valutazioni e indicazioni sugli scenari macroeconomici e sulla politica economica del Governo. Dopo il primo «botta e risposta» ne sapremo anche di più sull’aggiustamento iniziale dei rapporti personali e istituzionali tra i due «uomini forti» del nuovo Governo e il «banchiere dei banchieri italiani», che gode di uno spiccato profilo internazionale con la presidenza del Financial Stability Forum.

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