Forse non è un bivio vero e proprio, e forse non si aprirà neppure a breve termine davanti a Intesa Sanpaolo. Certo, l’annuncio che il Crédit Agricole intende cedere il 3,5% del colosso milanese è subito parso un evento non marginale agli interessati: top management, altri azionisti stabili come Generali, Fondazione Cariplo e Compagnia san Paolo, analisti e investitori di Piazza Affari. E a poco è valsa l’abbondante acqua sul fuoco gettata dal presidente francese Renè Carron (la vendita del pacchetto avverrà nell’arco di 18 mesi e sarà effettuata in contatto la banca italiana) e la tranquillità del presidente del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli, e dall’amministratore delegato Corrado Passera.

Già l’invito a intervenire – da parte del presidente del consiglio di gestione, il torinese Enrico Salza – alle grandi Fondazioni azioniste è suonato come preannuncio di grandi manovre: tanto da chiamare Giuseppe Guzzetti, leader della Cariplo, a una precisazione di raffreddamento del clima. Da qualunque punto lo si osservi, il passaggio è comunque di primo livello. Da un lato è una ricaduta sulla seconda banca italiana della grande crisi globale dei mutui subprime: Crédit Agricole (che resta un gigante cooperativo, ma all’inizio del decennio si è quotato in Borsa e ha assorbito il Crédit Lyonnais) ha subito perdite rilevanti e deve ricapitalizzare per almeno 5 miliardi di euro. Saranno ricavati anche dalla vendita del residuo pacchetto Intesa: non più stabile e strategica, ma comunque l’ultimo legame di un’alleanza quasi ventennale tra il gruppo francese e Bazoli.

Il progetto di lungo periodo del Professore (che ha celebrato nel 2007 i 25 anni del salvataggio dell’Ambrosiano) sarebbe stato impensabile senza il partner francese. E il disimpegno finale, d’altro canto, giunge all’avvio del “Berlusconi IV” e con il quasi definitivo abbandono della scena politica da parte di Romano Prodi, con cui Bazoli ha condiviso un lungo cammino politico-culturale. Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti hanno sempre considerato Intesa (ora fusa con il Sanpaolo) come vicina all’Ulivo e poi al Partito democratico (come del resto l’UniCredit di Alessandro Profumo). Forse da questo è originata, nel 2001, la crociata contro le Fondazioni, poi superata dalle sentenze della Corte costituzionale e da un confronto più costruttivo tra Tremonti e l’Acri di Guzzetti (che non a caso oggi è assai cauto nel prospettare un nuovo “interventismo” delle molte Fondazioni azioniste di Intesa Sanpaolo al di là delle quote possedute). E forse per questo un’Abi molto “bazolicentrica” (il presidente Corrado Faissola è ai vertici di Ubi Banca, nata da Popolare di Bergamo e la bresciana Banca Lombarda) è stata sollecita ad aderire all’invito di Berlusconi e Tremonti a una convenzione urgente sul caro-mutui.

In manovra per riassettare i rapporti con la nuova maggioranza di centro-destra è anche Cesare Geronzi, oggi al vertice di Mediobanca col supporto decisivo dei soci francesi: Vincent Bollorè, Antoine Bernheim (presidente di generali, a sua volta grande azionista di Intesa) e Tarak ben Ammar, da sempre ascoltato consigliere finanziario del Cavaliere. Il quale, non va dimenticato, è azionista di Mediolanum, a sua volta socio stabile della stessa Mediobanca. È dunque inevitabile che le relazioni tra l’ex presidente di Capitalia e Berlusconi si presentino sulla carta più fluide: al centro di uno scacchiere finanziario che – da Telecom alle Generali alla stessa Rcs – appariva recentemente dominato dalla “diarchia” Geronzi-Bazoli, finora sorvegliata dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Ora tutto è in evoluzione e – più di UniCredit, che è sempre più una banca europea – Intesa e Mediobanca sono chiamate a riposizionarsi nella nuova “Berlusconiland”. Assieme alle stesse Fondazioni – azioniste della Cassa Depositi e prestiti, sempre più banca di sviluppo e cassaforte di quote Eni, Enel, Poste e Terna.