Mentre l’emorragia di risparmio dalle Sgr italiane ha ormai superato gli 80 miliardi di euro a partire dall’inizio del 2007, la Banca d’Italia sprona senza sosta il sistema bancario ad avviare una riforma strutturale del settore dei fondi comuni e dei prodotti di gestione.
Il gruppo di lavoro costituito da Via Nazionale (che comprende rappresentanti delle altre authority finanziarie, dell’Assogestioni e degli operatori del settore) si è riunito all’indomani dell’ennesimo appello del Governatore Mario Draghi nelle Considerazioni finali del 31 maggio, e una relazione conclusiva è attesa entro fine mese. Ma una posizione comune non è ancora stata raggiunta e il dossier resta complesso, anche perché Draghi sollecita un’autoriforma strutturale del mercato, che non può essere promossa attraverso provvedimenti di Vigilanza o interventi del legislatore.
L’allarme e la diagnosi di Via Nazionale sono comunque note: il risparmio degli italiani, largamente convogliato verso Sgr controllate dalle banche nazionali, è amministrato male. Rende poco e, a fronte, il servizio di gestione costa troppo, alimentando la forte crisi di fiducia degli utenti negli intermediari creditizi, già forte per altre ragioni (conti correnti, obbligazioni, mutui, derivati, ecc).
La causa? Per il Governatore non vi sono dubbi: è l’“architettura chiusa” dell’industria del risparmio, in cui ciascuna banca vende ai propri sportelli solo prodotti della propria Sgr. Questa situazione presenta una serie di disfunzioni: il cliente della banca (lo stesso che già magari è vincolato con un mutuo non “portabile” altrove a condizioni migliori) “deve” impiegare il suo risparmio nei fondi “di casa” che la banca gli offre e non può accedere a una gamma più ampia e concorrenziale. Forte di una rendita di posizione sul fronte distributivo, il gestore di fondi della banca non è quindi messo sotto massima pressione competitiva per far rendere al meglio il risparmio della clientela.
Sull’altro versante, la banca può far gravare sulla Sgr controllata (a sua volta legata alla banca da un rapporto univoco sul versante commerciale) sovracommissioni che si scaricano sul cliente e vanno invece ad alimentare i profitti della capogruppo e dunque il valore per gli azionisti. Di qui la terapia d’urto proposta dal Governatore: allentare o spezzare i legami proprietari tra banche e Sgr e introdurre a tappe forzate un’architettura aperta, in cui gestori e banche commerciali intreccino i loro rapporti sul mercato. Qui costi e rendimenti dovrebbero potersi confrontare con più trasparenza, allargando le combinazioni e selezionando le migliori a beneficio del cliente.
Le repliche del settore bancario e dall’industria del risparmio gestito non si sono naturalmente fatte attendere. La fuga dai fondi è stata, secondo alcuni osservatori, dettata soprattutto dalla crisi dei mercati che ha colpito le performance e d’altronde il declino del ciclo economico ha spinto molte famiglie a ricorrere ai risparmi per sostenere i consumi o far fronte ai più alti esborsi per mutui a tasso variabile. Per di più esiste ancora un’asimmetria fiscale e regolamentare tra fondi di diritto italiano, comunitario ed extra-Ue. Ma l’argomento principale dell’opposizione al riordino strutturale gradito alla Banca d’Italia è che – con differenza sostanziale rispetto alle privatizzazioni degli anni ’90 – le Sgr appartengono a società private quotate in Borsa: una vendita forzosa delle partecipazioni o anche solo la perdita del controllo sono operazioni che una grande banca (come UniCredit, Intesa Sanpaolo o le grandi Popolari) non possono mettere in cantiere senza rischio di danno agli azionisti. Egualmente, in una fase di profitti declinanti per i grandi intermediari, la perdita secca della leva sulle commissioni infragruppo e l’avvio di una fase di “liberalizzazione” spinta nell’accesso ai prodotti (di risparmio e non) può colpire ulteriormente i bilanci. Tuttavia è difficile che il pressing di Via Nazionale non approdi a nulla: e il Governatore sa di poter contare – almeno in parte – sul supporto del nuovo Governo e in particolare del ministro dell’Economia Giulio Tremonti; che hanno già chiesto e ottenuto il calmieramento della rata dei mutui a tasso variabile per le famiglie in difficoltà.