La fusione annunciata tra Commerzbank e Dresdner Bank ha suscitato in Italia commenti molto “italocentrici”. Si è notato che Generali (da quasi un decennio primo azionista relativo e partner bancassicurativo di Commerz) ha visto indebolirsi la sua “testa di ponte” in Germania. Dopo la fusione con Dresdner (controllata dal gigante assicurativo locale Allianz) l’alleanza tra Generali e Commerz per la distribuzione delle polizze sul mercato interno tedesco andrà infatti ad esaurirsi. E svanisce, nel contempo, la prospettiva che – attraverso il ruolo del Leone di Trieste – la Commerz possa entrare in qualche nuova aggregazione transnazionale in Europa: si era più volte parlato di abboccamenti con Intesa Sanpaolo (di cui Generali è azionista strategico), che avrebbe potuto così rispondere al “merger” italo-tedesco del 2006 tra UniCredit e Hvb. Si è infine speculato sul fatto che Commerz – azionista di Mediobanca – avvicinandosi ad Allianz possa modificare i delicati equilibri in evoluzione in Piazzetta Cuccia. Attraverso Ras, il colosso assicurativo bavarese è stato tradizionale supporter del management Mediobanca (oggi in discussione col ritorno alla governance “monistica”), posizione rafforzata dall’essere Allianz tuttora azionista di UniCredit, critico verso la presidenza Mediobanca di Cesare Geronzi. Si vedrà.
Restano invece nell’immediato gli spunti di riflessione – probabilmente più rilevanti, anche per l’Italia – di un’operazione La “locomotiva d’Europa”, all’inizio degli anni ‘90, sembrava destinata a duplicare nel mercato bancario la leadership simbolicamente rappresentata dall’Eurotower di Francoforte, sede della Banca centrale europea e quindi “tempio dell’euro”. E la Deutsche Bank pareva preconizzata a essere il primo, se non addirittura l’unico gruppo “paneuropeo” di Eurolandia. Traccia di quelle ambizioni strategiche è ancora ben presente in Italia, dove 300 sportelli (soprattutto nel Nord Italia) tuttora issano l’insegna della Deutsche. Ma nessuna delle tre banche grandi private tedesche (Deutsche, Dresdner e Commerz) ha poi tenuto fede alle premesse.
Tutte e tre hanno provato a sbarcare in forze nella City di Londra (la Deutsche ha comprato la Morgan Grenfell, la Dresdner la Kleinwort Benson) ma senza successo e con molte perdite (anche nell’ultimo anno di bufera-subprime). La Deutsche ha provato addirittura l’avventura oltre Atlantico, comprando Bankers Trust, ma senza diventare davvero protagonista a Wall Street. Commerz ha mantenuto la sua indipendenza facendo paradossalmente conto sulle partnership in Italia (nel ‘99 era maturata addirittura un’ipotesi di concentrazione con Mediobanca-Comit-Banca di Roma). Dresdner è stata invece la prima “vittima” dei muri bancari che sono rimasti in piedi in Germania anche dopo il crollo di quello di Berlino: gli steccati, praticamente ancora operanti, che dividono le tre big private dalle casse di risparmio (controllate dai Lan federali) e soprattutto dallo sterminato arcipelago del credito cooperativo, che tuttora gestisce oltre un terzo del sistema creditizio tedesco.
L’assorbimento della Dresdner nell’Allianz (nella speranza di creare un innovativo polo “bancassicurativo” integrato) e la fusione tra la baverese Hypovereinsbank e BankAustria (poi fallita e salvata da UniCredit) hanno punteggiato la sostanziale paralisi del sistema tedesco, lentissimo anche dopo lo start-up dell’euro nel ‘99. La stessa Italia ha sperimentato soluzioni innovative (come la nascita delle Fondazioni come azioniste della Casse) e tre ondate di concentrazioni: Intesa Sanpaolo è la somma di almeno sette gruppi (Comit, Cariplo, Ambroveneto, Sanpaolo Torino, Imi, Cardine, Banco Napoli) che dieci anni fa erano pressoché autonomi e con aspirazioni “aggreganti”. Commerz e Dresdner sono, di fatto, le stesse di allora: cosi come la Deutsche, che nel 2000 tentò in realtà di rompere gli indugi, fondendosi con Dresdner. Giocarono contro gli attriti interni tedeschi (il dualismo Francoforte-Monaco di Baviera e un po’ quello politico Spd-Cdu/Csu) ma anche i timori della City londinese sulla nascita di un forte soggetto bancario nell’Europa continentale. Fatto sta che otto anni dopo e molti miliardi di euro di perdite e minusvalenze, Commerz e Dresdner provano a creare sinergie commerciali nel retail banking interno e (sotto la pressione della drammatica crisi dei mercati) a rafforzare i presidi contro i paurosi rischi tuttora pendenti sui bilanci. Una “fuga in avanti” apparentemente più dignitosa che la resa di una Cassa pubblica come la Ikb al fondo di private equity Usa Lone Star; e non costosa per il contribuente come il salvataggio dell’americana Bear Stearns con la liquidità della Fed. Ma pur sempre un’operazione da verificare nei risultati. Se però davvero il governo bipartizan Merkel dovesse privatizzare presso Dresdner-Commerz la Postbank (fortissima rete commerciale e finanziaria del risparmio postale), allora la Germania può aspirare ad riproporsi come modello in Europa. E a dare nuovamente suggerimenti anche all’Italia delle banche.