Sono ancora calde le ceneri del 2008 “horribilis” per banche e Borse, ma il sistema creditizio guarda già oltre e getta le basi di un possibile riassetto in tempi stretti. L’Italia – a dispetto di giudizi e pregiudizi costantemente poco favorevoli – non è nuova ad accelerazioni: la Germania è stata colpita duramente dalla crisi di Sparkassen e Landesbanken ancora pubbliche, da un buon quindicennio in attesa della riforma che già nei primi anni ’90 ha consentito la riforma privatizzatoria delle Casse di risparmio e lo sviluppo di almeno tre ondate di mega-fusioni i muri tra istituti statali e grandi nomi del banking di mercato. UniCredit – assieme a Intesa Sanpaolo – è il risultato più importante della ristrutturazione di lungo periodo dell’industria finanziaria nazionale. Piazza Cordusio è stata la banca italiana che ha più sofferto per lo tsunami dei mercati, ma è anche una delle pochissime ad aver impostato e realizzato in corsa un piano di rafforzamento patrimoniale e di riorganizzazione: E ciò senza i sostegni pubblici generalizzati che hanno invece caratterizzato scacchieri come quello inglese, francese, o tedesco.



Le cronache a cavallo di Capodanno hanno riferito in dettaglio le ultime operazioni di cessione di asset e la messa sui binari della ricapitalizzzaione da 6,6 miliardi approvata in autunno. L’aumento di capitale in strumenti ibridi (cashes) parte oggi in Piazza Affari, ma di fatto il suo approdo è già noto e, per certi aspetti, concretizzato dalla garanzia offerta da Mediobanca. Se il prospetto dell’aumento ha infatti già potuto considerare come avvenuto al 31 dicembre 2008 il cruciale miglioramento dell’indice patrimoniale “core tier 1”, ciò è stato appunto possibile dalla copertura offerta da Piazzetta Cuccia, di cui UniCredit è il residuo azionista bancario della storica triade Credit-Comit-Bancaroma. La Banca d’Italia da un lato ha preso atto in termini di sostanziale silenzio-assenso del fatto che Mediobanca sta garantendo l’afflusso di nuovi mezzi indipendentemente dal buon esito delle prenotazioni da parte dei soci storici (ad esempio le Fondazioni CariVerona e Crt, o il colosso assicurativo tedesco Allianz) o di quelli più recenti, come il fondo sovrano libico. Di più: alla Vigilanza è giunta anche la richiesta della stessa Mediobanca di poter detenere in Piazza Cordusio una partecipazione superiore al 5%, in funzione di “banca depositaria” delle azioni emesse in aumento di capitale a fronte di strumenti ibridi formalmente convertibili solo tra cinque anni. Il segnale è dunque chiaro: Mediobanca è fin da oggi uno dei tre nuovi perni del controllo di UniCredit assieme al polo delle Fondazioni (che ha in tutto meno del 10%) e alla Libia (5%). Più defilate appaiono le grandi assicurazioni tedesche garanti dell’incorporazione di Hvb e supporto del presidente Dieter Rampl.



All’immediata vigilia di Natale, invece, la Fondazione CariVerona ha annunciato il possesso diretto del 3% della stessa Mediobanca: non una novità, anche se la Fondazione presieduta da Paolo Biasi si era via via allontanata sia da Piazzetta Cuccia che dalle stesse Generali mano a mano che il Tesoro (prima con Giulio Tremonti, poi con Vincenzo Visco) aveva emanato regole-muro contro la presenza forte degli enti in banche e assicurazioni.

Se queste sono le carte distribuite sul tavolo nelle ultime settimane (alcune ancora coperte) non sorprende che il gossip finanziario abbia preso a congetturare attorno a una possibile concentrazione Mediobanca-UniCredit-Generali. Da un lato gli azionariati sono in parte sovrapposti (basti pensare, ad esempio, alla presenza del gruppo Ligresti in tutte e tre le realtà). Dall’altro sia Piazza Cordusio che Piazzetta Cuccia sono tra le molte banche europee che hanno visto ridimensionarsi il loro valore in Borsa per la crisi dei mercati e che sono quindi a rischio scalata mano a mano che la fiducia nei mercati e negli intermediari accenna a riprendere. Di più: nonostante il piano di sostegno pubblico alle banche predisposto del ministro dell’Economia Giulio Tremonti sia operativo (con il via libera della Ue) continuano a restare i dubbi sull’effettivo sviluppo dell’ingresso dello Stato nei capitali delle grandi banche. Non stupisce dunque che lo stesso Governatore Mario Draghi abbia tacitamente appoggiato l’accelerazione di UniCredit nell’esposizione di ratio patrimoniali migliori, che allontanano oggettivamente l’indispensabilità dell’intervento pubblico. Ma se lo Stato resta fuori, le banche dovranno proteggersi da sé dalla minaccia di aggressione da parte di banche estere magari più apprezzate dai mercati proprio per aver acconsentito a farsi ricapitalizzare dallo Stato.



Mediobanca, d’altro canto, è guidata da Cesare Geronzi, in posizione forte dopo l’abbandono della governance duale e il ritorno del presidente unico: Geronzi, ex patron di Capitalia, nasce come banchiere commerciale ed è quindi assai più propenso di quanto potesse essere il tradizionale management di Piazzetta Cuccia all’ipotesi di una combinazione strategica con grandi realtà come UniCredit e la controllata Generali. Quest’ultima, d’altronde, è storicamente gelosa della sua autonomia, ribadita anche di recente dal presidente francese Antoine Bernheim. Ma è prevedibile che anche il mercato assicurativo (sconvolto dal crollo del leader Usa Aig e dall’indebolimento di giganti europei come Axa e Allianz) difficilmente rimarrà immobile. In Italia, resta ovviamente da capire quale sarà l’eventuale risposta di Intesa Sanpaolo – saldamente presidiata da una decina di Fondazioni bancarie e d’altra parte tuttora legata a Generali da una partnership strategica bancassicurativa. Ma la partita è appena iniziata.