Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha speso due giorni a Venezia per investire Mario Draghi a successore? Di certo la “campagna elettorale” del Governatore della Banca d’Italia è ormai aperta e piena e aggiunge valore – a posteriori – anche alla recente visita al Meeting di Rimini: che anche il banchiere romano – al pari di Tony Blair, candidato alla presidenza dell’Unione europea – ha giudicato evidentemente una rara ribalta internazionale di qualità sul crinale tra economia e società civile.



Nel merito, gli ultimi giorni hanno registrato anche una lunga intervista di Draghi al maggior quotidiano tedesco – la Frankfurter Allgemeine Zeitung – a ideale chiusura del cerchio con il lancio della candidatura italiana per la Bce da parte del Wall Street Journal, nel mezzo della raffica di summit globali autunnali (Ecofin, G-20, Fmi a Istanbul).



Alla Faz e negli appuntamenti pubblici di Venezia, il Governatore – al solito formalmente attento e riservato – si è consentito parecchio. L’accenno ai «recenti fatti politici», ininfluenti sulle «scelte economiche», è stata – nel gergo draghiano dell’alto establishment globale – una dimostrazione muscolare nel tempestoso indomani della sentenza italiana sul Lodo Alfano.

Draghi è a capo di un’authority indipendente e (di più) guida il Financial Stability Board del Fondo monetario: partecipa a pieno titolo con capi di Stato e Governo alle “foto di famiglia” di tutti i vertici internazionali. Ma è – istituzionalmente – un “civil servant”: gestisce un potere conferito dallo Stato, senza diretta investitura politico-elettorale.



L’essersi espresso – in modo sottile ma inequivocabile – su uno scontro tra un premier come Berlusconi, un capo di Stato come Napolitano e una Consulta che in ogni caso interfaccia direttamente col Parlamento, è stato ai limiti del galateo istituzionale: essendo chiaro il giudizio implicito di “turbativa” sul tentativo del Governo di varare uno scudo giudiziario al suo capo.

Vale anche la pena di notare che – al di là delle consuete copertine in stile “wanted” contro Berlusconi da parte di Financial Times e Wall Street Jounrnal – l’Italia non ha registrato sui mercati alcuna ripercussione. Non solo è un Paese membro dell’euro (e l’Ocse l’ha collocata con la Francia tra quelli che hanno maggior probabilità di correre velocemente verso la ripresa) ma ha un sistema bancario solido e un’economia in cui la piccola e media impresa ha molte potenzialità: lo ha riconosciuto proprio Trichet a Venezia. E – sul filo del paradosso – l’ha rivendicato il predecessore di Draghi – Antonio Fazio – venerdì nella sua prima ricomparsa in pubblico dopo il controverso rinvio a giudizio per l’Opa Unipol sulla Bnl.

 

Ma tant’è: ora Draghi – l’ex banchiere della Goldman Sachs, la "banca centrale del mondo" negli anni che hanno condotto al collasso del 2008 – è lanciato verso il ruolo di "supergovernatore": pontiere tra le due sponde dell’Atlantico alla ricerca affannosa della ripresa che ancora non c’è e di nuovi equilibri finanziari rispetto all’"altro mondo" dei Bric.

Ce la farà a tagliare il traguardo, fissato per l’inizio del 2011? Sulla sua strada deve fare apparentemente i conti con due paesi: l’Italia e la Germania di cui, non a caso, si è occupato negli ultimi giorni. La maggioranza di centro-destra non è mai stata amica di Draghi subìto come successore di Fazio a fine 2005, nel mezzo di una violenta bufera mediatico-giudiziaria attorno alle Opa Bpi-AntonVeneta e Unipol-Bnl e alla scalata Rcs. Fu un accordo totalmente fuori dalla sede governativa e soprattutto parlamentare, tra il banchiere Ciampi (allora inquilino del Quirinale e gran protettore di Draghi) e un Berlusconi a fine legislatura.

 

Allora Giulio Tremonti era rientrato al ministero dell’Economia, ma non aveva il profilo odierno, rafforzato dalle posizioni antimercatiste dopo la crisi e anche da più solidi legami in tutti i settori del centrodestra. Il suo tentativo di imporre i Tremonti-bond alle grandi – lo si notava già in questa rubrica – è fallito (ma non con le grandi Popolari) sul piano del puro potere, ma l’aver accompagnato il settore fuori dalla crisi con la garanzia statale e senza esborso di quattrini pubblici, è un suo successo di livello europeo. E ora sta accelerando con la "sua" Banca del Sud.

 

Certamente gli farebbe piacere contrastare Draghi con una propria candidatura alla guida dell’Eurogruppo, ma potrebbe trovare una propria ricompensa alla promozione di Draghi a Francoforte con la nomina in Via Nazionale di un uomo a lui vicino: ad esempio l’attuale direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, o l’attuale membro italiano dell’esecutivo Bce, Lorenzo Bini Smaghi.

 

Alla Banca d’Italia rimane, almeno nell’immediato, la strategica vigilanza bancaria, anche se c’è da credere che Draghi alla Bce diventerebbe assai di più un fautore della supervisione internazionale (ma sotto l’egida del "suo" Financial Stability Board, a forte impronta americana). E a proposito di vigilanza bancaria, non deve passare inosservato che la "neue koalition" di Angela Merkel si accinge a restituire alla Bundesbank il ruolo di "carabiniere" del sistema bancario tedesco, tra i più disastrati dopo lo tsunami della finanza derivata.

 

La scalata di Draghi (che sulla Faz si è mostrato ovviamente un po’ meno liberomercatista del solito e un po’ più severo e "regolatorio") si annuncia quindi lunga e faticosa: la sua figura di "europeo latino con secondo passaporto americano" è ineccepibile, ma alla Bce, per ora, hanno regnato solo un olandese su delega tedesca e un francese allo stato puro.