Nei prossimi giorni, il Csm ha in agenda una nomina di primo livello al Palazzo di giustizia di Milano: il presidente della Corte d’Appello. In volata finale – con buone chance – c’è anche Renato Rordorf, attualmente consigliere di Cassazione, che nel suo lungo curriculum ha anche un quinquennio come commissario Consob.
Nel ’97 – quando alla presidenza della commissione di Borsa andò poi Tommaso Padoa-Schioppa – in corsa c’era anche Vincenzo Salafia, un “grande vecchio” del “palazzaccio” milanese, autorità riconosciuta nel campo del diritto societario. Fu alla fine Rordorf a fare un’esperienza unica per un magistrato, invece del suo maestro oggi presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione.
Se toccherà a Rordorf pilotare la Corte d’Appello di Milano, aggiungerà uno spunto di primo livello al nuovo dibattito sul ruolo della magistratura – in particolare di quella meneghina – sullo scacchiere della grande finanza. Il dibattito ha tratto nuovi alimenti da due fatti recenti. Il primo, ancora tutto interno alla magistratura, è stato passaggio del procuratore capo Manlio Minale (successore di Saverio Borrelli) alla Procura generale: chi sarà il nuovo regista degli inquirenti milanesi, tra i quali si muovono gli “aggiunti” Francesco Greco e Alfredo Robledo, agguerriti specialisti dei reati finanziari?
Greco – un’intera carriera spesa a investigare sulla criminalità di Piazza Affari, da Enimont a Parmalat – è stato direttamente attaccato nei giorni scorsi per il ruolo sempre più centrale sulla frontiera sempre bollente tra giustizia e finanza: è a lui, infatti, che fanno capo le strategiche segnalazioni anti-riciclaggio dell’Ufficio italiano dei cambi, riconvertito dalla Banca d’Italia. Un nuovo procuratore-capo gli confermerà questa funzione delicatissima?
I movimenti anomali di capitali sono stati del resto una pista investigativa di primo livello per il dossier finanziario che in queste settimane appassiona o preoccupa l’intera City milanese. Che si chiami “bonifiche Montecity” o “salvataggio Risanamento”, che faccia cronaca per l’arresto della moglie dell’ex assessore lombardo Giancarlo Abelli o per l’ennesimo no dei Pm milanesi al progetto di ristrutturazione finanziaria del gruppo Zunino, poco cambia: al centro restano il controverso supporto di grandi banche come Intesa Sanpaolo e UniCredit al più nordista tra gli immobiliaristi, Luigi Zunino, entrato perfino nel patto di sindacato di Mediobanca. Al centro resta il “nocciolo duro” del “Progetto Milano” verso l’Expo 2015: lo sviluppo urbanistico a sud (Santa Giulia) e a nord (Sesto San Giovanni). Al centro resta l’attrattività di Milano per un archistar come Norman Foster o per un brand globale come Sky.
Questa nota ha affrontato già alcune settimane fa il nucleo della questione: separare il destino industriale e metropolitano di Risanamento da tutti gli illeciti (finora presunti e da accertare) che abbiano accompagnato la gestione finanziaria della holding di Zunino e i suoi rapporti con la pubblica amministrazione. E su questo terreno si misurerà anche lo “sviluppo manageriale” del palazzo di giustizia milanese, dove – come sempre in quell’ambito delicato della vita democratica – nessuna competenza è esclusiva o inutile e dove l’istituzione va sempre oltre le persone.
La sensibilità di un magistrato allenato sul campo a capire (prima che a giudicare) la finanza del XXI secolo vale la professionalità di un giudice per il quale il caso Zunino non è diverso da tanti altri minori o anonimi e va trattato con la classica cassetta di attrezzi del giudice: il codice, la giurisprudenza, la dottrina, l’equità (cioè l’esperienza). Entrambi gli “stili giudiziari” possono aiutare le istituzioni, il mercato e la società civile a trovare le soluzioni ai problemi più complessi: che non tocca alla magistratura affrontare “in toto”, che è invece compito e dovere della magistratura sciogliere sul piano del diritto civile e obbligatoriamente perseguire su quello penale.