Le fondazioni di origine bancaria stanno chiudendo i bilanci 2008, che segnaleranno solo in parte il duro impatto delle crisi globale sui grandi attori italiani (unici in Europa) della “sussidiarietà finanziaria”. Negli stati patrimoniali è possibile che emergano svalutazioni delle partecipazioni bancarie stabili nelle grandi banche o di altre utilities, colpite dai ribassi dei listini. Ma i rialzi di Borsa delle ultime due settimane – i primi a segnare un apparente rimbalzo strutturale – sono state trainate un po’ ovunque dai titoli bancari. E in Piazza Affari i recuperi più significativi dai drammatici minimi toccati nel primo bimestre sono stati registrati da Intesa, UniCredit e Mps, che contano fra i loro soci strategici tutte le maggiori fondazioni italiane.
Questo potrebbe suggerire maggior cautela nell’effettuare ritocchi all’ingiù dei valori contabili delle quote, in molti casi già molto prudenti rispetto ai prezzi di Borsa. E poi se è vero che molte fondazioni adottano per trasparenza i principi contabili internazionali Ias, non sono obbligate ad applicarli, in quanto sono enti diversi dalle società quotate: tanto più che le partecipazioni azionarie – ormai stabilizzate a minoranza qualificata – sono di lungo periodo.
L’emergenza gestionale e strategica farà capolino solo in parte anche nei conti economici, che includono i dividendi 2007 (molto alti) delle grandi banche. Minore sarà invece prevedibilmente l’apporto dei capitali liberati dalle partecipazioni azionarie e investiti sui mercati spazzati dalla crisi. Se l’integrità del patrimonio non è in discussione (anche se alcune fondazioni sono incappate con qualche impiego obbligazionario nel crack della Lehman Brothers), ne risentirà già il flusso di profitti finanziari a sostegno delle erogazioni noprofit: e se gli impegni dei preventivi 2008 saranno in gran parte confermati (e dovrebbero migliorare ancora gli 1,7 miliardi di euro distribuiti in pubblica utilità nel 2007), i vertici delle 88 fondazioni associate all’Acri stanno invece già tagliando i budget 2009.
Nell’esercizio in corso (e forse anche nel successivo) le grandi banche non distribuiranno cedola e sui mercati – ancora volatili nei comparti azionari e dominati dai “tassi zero” nel monetario e obbligazionario – sarà molto arduo intervenire e realizzare utili. Quest’anno le fondazioni dovranno comunque elaborare in tempi stretti una loro specifica “exit strategy” dalla crisi; e proseguire in quell’inattesa “fase tre” di cui questa rubrica si è già occupata un paio di mesi fa ragionando sulle tensioni tra Fondazione e Banca Mps.
Il primo indirizzo che va maturando è il tentativo di “soft landing” delle erogazioni. Nell’ultimo quindicennio, tutte le fondazioni hanno fortunatamente accumulato (per legge, statuto e prassi prudenziale) dei fondi di stabilizzazione, che ora possono tornare utili nell’integrare la redditività calante. Una riduzione oscillante tra il 25% e il 50% (dunque orientativamente di un terzo) delle erogazioni 2007-2008 potrebbe segnare la traiettoria di un atterraggio morbido esteso ai prossimi tre anni. Visto il contesto in cui sta maturando appare tutto sommato accettabile per la società civile dei vari distretti provinciali e regionali, che si sono ormai abituati a contare sulla presenza forte delle fondazioni.
Queste ultime, d’altronde, dovranno moltiplicare gli sforzi programmatici di selezione degli obiettivi dell’aiuto sussidiario. L’erogazione” a pioggia”, già depennata dall’agenda ufficiale, tenderà a sparire, probabilmente sacrificando le porzioni più minute – ancorché bisognose – della società civile. È invece prevedibile – e in fondo auspicabile – che le fondazioni tengano duro sui grandi progetti poliennali di grande “infrastrutturazione sociale”: come nei settori scuola e università, nella sanità intesa soprattutto come sostegno alla ricerca, all’alta formazione e allo sviluppo delle strutture d’eccellenza. In ogni caso le fondazioni sono chiamate dalla crisi a un vero “esame di laurea” nel proprio management ancora giovane: i modelli di selezione delle erogazioni (accanto a quelli di gestione del patrimonio) devono compiere un ulteriore salto di qualità, e questo chiama in causa sia una nuova leva di manager professionali di fondazioni, sia la maturità degli organi di indirizzo e d’amministrazione del “privato sociale”, designati da enti locali e da formazioni della società civile sul territorio.
I vertici degli enti saranno quasi sicuramente chiamati a percorrere strade nuove, che intersecano asset management e interventi istituzionali. Da un lato la crisi sta imponendo una riflessione concreta sull’opportunità di impiegare i patrimoni fuori dai mercati finanziari, dove il rischio può essere elevato e i ritorni bassi. Non è meglio che una fondazione investa direttamente una parte dei suoi capitali ad esempio nel sostegno delle grandi reti o di progetti di trasferimento diretto di tecnologia nelle imprese, o addirittura nel private equity a favore delle Pmi? Naturalmente va costruito un sistema ad hoc. Ma l’Acri già prima della crisi ha spinto anzitutto le fondazioni italiane a intervenire coralmente. L’ingresso di 66 enti con un miliardo di euro nella Cdp è stato simbolico, tanto più che proprio nei giorni scorsi il Tesoro (azionista di maggioranza) ha formalmente trasformato la Cassa in una vera e propria “banca di sviluppo”.
La Cdp sarà una delle leve con cui il Governo intende sostenere da un lato il credito all’impresa nei prossimi anni e dall’altro alcuni investimenti di interesse pubblico. Dalla Cdp sono derivate due iniziative strategiche di rilievo nazionale: il Fondo 2I (cui partecipano anche grandi banche) per lo sviluppo delle grandi reti (ad esempio nelle tlc banda larga) e il Fondo nazionale di housing sociale. Quest’ultimo si ripromette di costruire 20mila nuovi alloggi popolari nei prossimi tre anni e conferma su scala nazionale un test “germinato” proprio dalle fondazioni in sede locale (come il “villaggio Barona” promosso dalla Cariplo a Milano attraverso un fondo immobiliare pubblico-privato). A Siena, il 10-11 giugno, l’Acri terrà i suoi stati generali: per l’economia e la società italiana sarà un “G-88” forse più importante del G-20 in programma a Londra questa settimana.