Le cronache finanziarie del fine settimana hanno singolarmente accostato le prospettive di riassetto di due fra le maggiori utilities del paese: Telecom Italia e A2A, Secondo un’autorevole indiscrezione rilanciata dal Corriere della Sera, il top management di Telecom , guidato da Franco Bernabé, avrebbe proposto la fusione con il partner spagnolo Telefonica (che partecipa già alla holding di controllo Telco assieme a Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e gruppo Benetton). Nelle stesse ore in cui il consiglio Telecom approvava i conti di un primo trimestre incolore sullo sfondo della crisi, i Comuni di Milano e Brescia (azionisti paritetici di maggioranza di A2A) hanno presentato una lista di 12 candidati per un rinnovo-svolta del consiglio di sorveglianza della capogruppo.

La prima ipotesi di lavoro è sull’agenda di Piazza Affari fin dall’ingresso di Telefonica e delle banche italiane in Telecom al posto di Pirelli, due anni fa. Tornerà ora a fare i conti – essendo cartina di tornasole dello stato delle cose – con un groviglio di questioni apparentemente inestricabile:

A) gli umori dei soci stabili e di quelli di Borsa con il prezzo del titolo piuttosto depresso;

B) la ristrutturazione industriale del settore tlc investito dalla recessione;

C) i non solidissimi equilibri del bilancio Telecom (tuttora gravato dall’indebitamento figlio della scalata di Roberto Colaninno nel ’99);

D) i nodi legati all’apertura della rete (per ora risolti con la creazione della struttura di vigilanza “Open Access”, presieduta da Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica);

E) gli investimenti nella banda larga (cioè in un’infrastruttura strategica per l’intero paese) per il quale sono già da tempo in “stand by” la Cassa depositi e prestiti e il fondo pubblico-privato F2I ;

F) l’occhio di Governo e opposizione sia in termini di politica industriale che di rebus-italianità, in una fase di crisi del capitalismo finanziario globale e di rilancio del valore delle attività reali delle imprese, del legame con i mercati territoriali, dello stesso interesse nazionale.

Lo scenario si arricchisce però di altri elementi contingenti, Il primo è la sostanziale “espulsione” di Telecom dall’Argentina per l’opposizione del Governo di Buenos Aires, cui si sommano le difficoltà persistenti di aggiustare i rapporti con la stessa Telefonica in tutto il Sudamerica. Ma (non ultime) le tensioni si moltiplicano nell’anomalo settore “media” italiano, convergente con quello tlc. Qui il confronto a tre fra Rai, Mediaset e Sky si è incrociato negli ultimi giorni, con le vicende familiari del premier Silvio Berlusconi, verosimilmente legate alla successione patrimoniale e aziendale. Se solo si rammenta che Marco Tronchetti Provera – allora patron di Telecom – nel 2006 studiò una possibile alleanza con Rupert Murdoch attraverso Tarak ben Ammar (uno dei più fidati advisor di Berlusconi, nonché consigliere di Mediobanca) si ha ennesima conferma di come qualsiasi mossa sul gigante delle tlc italiane sia destinata a provocare violente onde sismiche in ogni direzione. Bernabè stesso è tornato al vertice di Telecom – con il Governo ulivista di Romano Prodi parte attiva nel riassetto – dieci anni dopo esserne stato allontanato dall’Opa di Colannino, protetto dal Governo ulivista di Massimo D’Alema.

Anche allora Bernabé (che aveva alle spalle il “nocciolino” duro guidato dalla famiglia Agnelli) provò a difendersi con una fusione europea con Deutsche Telekom. Vinse l’Opa (soprattutto le grandi investment bank americane come JPMorgan) e Telecom cominciò a perdere. Perché è chiaro che la storia della privatizzazione dell’ex monopolista italiano è un esemplare “caso di insuccesso” per tutti: anche se è stato (in parte) un pedaggio obbligatorio per il risanamento dei conti pubblici italiani in vista dell’ingresso nell’euro. A questo punto, in ogni caso, l’integrazione con Telefonica – che avrebbe un ruolo aggregante e i cui soci controllerebbero il 65% del nuovo gruppo italo-iberico – forse non appare la peggiore delle “exit strategy” da un decennio abbondante che ha visto germinare di tutto attorno alla Telecom dei privati: anche lo spionaggio telefonico illegale di decine di migliaia di italiani.

Anche A2A è il frutto di un complesso processo di privatizzazione, che ha visto convergere due municipalizzate-leader in Italia: Aem Milano e Asm Brescia. Entrambe avevano – e hanno – storie industriali importanti, sia lontane che recenti. A Brescia è nato il teleriscaldamento in Italia, a Milano – negli anni ruggenti della New Economy, da Aem ha preso forma il primo operatore indipendente in Italia nelle tlc a banda larga (oggi Fastweb). All’asse lombardo è oggi agganciata Edison, storica major dell’elettricità in Italia, al centro di un’alleanza strategica con il colosso pubblico francese Edf. Pur non avendo le dimensioni del gigante tedesco Eon – creato dall’integrazione federale tra i produttori di energia dei Lander – A2A è oggi il baricentro indiscusso della liberalizzazione italiana nel settore: sia a fronte dei colossi pubblici Enel ed Eni, sia verso gli altri competitor locali come Acea o Iride-Enìa (esse pure in via di faticosa concentrazione), sia nella definizione delle partnership europee. A differenza di Telecom (da cui lo Stato italiano si è ritirato in blocco, diversamente da Francia e Germania) i Comuni lombardi non hanno mai perduto il controllo effettivo del gruppo (che a sua volta ha il 51% di Delmi, la finanziaria che condivide pariteticamente la maggioranza di Edison).

Non è stato quindi sorprendente che le reiterate polemiche cosiddette “liberiste” contro un presunto “neo-socialismo municipale” abbiano avuto spesso come bersaglio questa realtà consolidatasi al centro della “piattaforma padana”. Del resto – questa rubrica lo ha ricordato la settimana scorsa – prima di morire in circostanze mai chiarite, il fondatore dell’Eni Enrico Mattei era stato vittima di una violenta campagna condotta personalmente sul Corriere della Sera da Indro Montanelli: e anche allora, guarda caso, i contrasti tra il vecchio oligopolio privato e un’innovativa presenza imprenditoriale del pubblico sul mercato nascevano sulla produzione di energia nella grande pianura dell’Italia settentrionale. Non stupisce quindi neppure che anche il ricambio integrale del consiglio di sorveglianza di A2A abbia riacceso polemiche sulla presunta invadenza dei sindaci sul mercato. Polemiche che tuttavia apppaiono in buona parte strumentali.

La revoca del vecchio consiglio di sorveglianza – guidato dall’80enne bresciano Renzo Capra, a lungo guida operativa di Asm – non è legata a “spoil system” politico dopo il cambio di maggioranza nel Comune di Brescia, passato dal centro-sinistra al Pdl. I sindaci Adriano Paroli e Letizia Moratti sono stati invece costretti a cambiare l’intero consiglio per superare i contrasti tra Capra e il presidente del consiglio di gestione di A2A, Giordano Zuccoli, proveniente da Aem. A2A ha infatti adottato – al pari di altre grandi società italiane ed europee – il nuovo modello di governo societario a due livelli, introdotto in Italia nel 2004. E sia la struttura delineata dalla legge, sia la prassi (maturata da oltre un secolo soprattutto in Germania) parlano chiaro: il consiglio di sorveglianza – che ha compiti di indirizzo e supervisione – è il luogo dove si concentrano e si realizzano in modo trasparente gli interessi degli azionisti. Il consiglio di gestione – nominato o revocato dal consiglio di sorveglianza – è invece il luogo dove figure tipicamente manageriali perseguono quotidianamente l’interesse dell’impresa: la sua redditività, la sua solidità patrimoniale, la sua salute finanziaria, il suo sviluppo strategico a medio e lungo termine. Il dibattito teorico e operativo animato soprattutto attorno alle grandi banche (per le quali la Banca d’Italia ha emanato disposizioni molto puntuali) ha confermato che un “duale” male interpretato ed applicato può compromettere i risultati di gestione, o addirittura la stessa sopravvivenza dell’azienda. In caso di paralisi tra i due consigli – e questo ormai si profilava in A2A – gli azionisti hanno non solo il potere, ma il dovere di intervenire. Ed è quanto hanno fatto Milano e Brescia, azionisti di maggioranza, anche nell’interesse degli altri soci ma soprattutto nell’interesse ultimo di A2A.

La lista dei candidati al nuovo consiglio di sorveglianza è ricca di figure di raccordo con i Comuni intesi non solo come enti amministrativi locali, ma soprattutto come perni di vaste reti economico-sociali sul territorio. Alla presidenza del consiglio – come garante ultimo dello sviluppo della società – è stato indicato Graziano Tarantini. E’ un avvocato specialista in diritto d’impresa che ha maturato forti esperienze in due campi cruciali: la promozione corale delle piccole aziende lombarde (è stato leader della Compagnia delle opere a Brescia) e lo sviluppo della finanza aziendale all’interno di una grande banca di territorio come la Popolare di Milano. Non è un caso che da presidente della controllata Banca Akros, Tarantini sia stato ora promosso vicepresidente della stessa Popolare. E’ una figura che appare dunque con il ruolo di indirizzare e supervedere adeguatamente il lavoro del management professionale, senza interferenze e innescando spirali positive. Tarantini appare possedere anche il profilo adatto a non dimenticare mai che i Comuni di Milano e Brescia sono “shareholders” di A2A (attendendosi corretti dividendi annui e aumenti del valore delle loro partecipazioni azionarie sostenibili nel tempo); ma ne sono anche “stakeholders”: portatori di interessi socioeconomici diffusi sul territorio. La produzione e la distribuzione di energia sono un fattore strategico di crescita per l’intera Azienda-Lombardia, ormai di più: per una porzione importante dell’Azienda-Italia e dell’Azienda-Europa. Tanto più ora che imprese e famiglie sono sotto pressione per la crisi. Se c’è un tempo e uno spazio in cui testare la sussidiarietà in economia – facendo interagire in modo nuovo mercato e società civile – questi sono la cornice in cui si muoverà prevedibilmente il “new deal” di A2A.  Le premesse (anche per essere un caso di studio diverso da quello di Telecom) ci sono. Come i suoi azionisti, i suoi manager e tecnici, i suoi clienti, il suo territorio, anche questa rubrica attende ora alla prova Tarantini e la sua A2A.