Per essere inequivocabile, Giovanni Bazoli ha agitato alcune fotocopie di editoriali di “commentatori che andavano per la maggiore su importanti quotidiani”: scritti di Francesco Giavazzi, portabandiera bocconiano degli economisti ultraliberisti, sulla prima pagina del Corriere della Sera. Il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo – tornato per una conferenza nella sua Università Cattolica – ha ricordato un suo appello recente, ma ormai apparentemente lontanissimo. In tempi non sospetti (la primavera 2007) aveva distinto – con le categorie del giurista universitario, ma con l’esperienza del banchiere – tra “capitalismo anglosassone” e “capitalismo temperato dell’Europa continentale”. Aveva sostenuto la validità di un modello di banca «attento agli interessi generali di un sistema paese» e non solo alla massimizzazione del valore economico per l’azionista. E per questo – in particolare per l’intervento di Intesa Sanpaolo nella ristrutturazione di Alitalia – era stato apertamente criticato da Giavazzi: una banca, un sistema capitalistico che ammettesse dimensioni e obiettivi diversi da quello del proprio profitto immediato avrebbe violato le regole e inquinato l’equilibrio di un mercato che per definizione non sbaglia mai.
Sono passati poco più di due anni e il sistema bancario internazionale – lo strilla la copertina dell’ultimo Economist – è affondato in un crack da «tre trilioni di dollari»: 2.300 miliardi di euro, 4,5 milioni di miliardi di vecchie lire. Bazoli parlava nell’Aula Pio XI della Cattolica di un libro storico su una delle banche “fondatrici” di Intesa Sanpaolo, la Cattolica del Veneto, protagonista nel 1990 della fusione originaria con il Nuovo Banco Ambrosiano nell’Ambroveneto. Una “banca del territorio” come del resto le considerazioni iniziali sul “capitalismo sociale di mercato” erano state suggerite al Professore da un bilancio storiografico del Mediocredito lombardo, l’istituto di credito industriale filiato Cariplo poi confluita in Intesa. «Se le banche italiane non sono state travolte dal collasso dei mercati finanziari – ha detto pochi giorni fa – non è stato né per caso né per arretratezza tecnica o scarsa propensione al rischio»: è stato per una tradizione strategica diversa, per un approccio meno radicale e più aperto agli orizzonti ampi di un sistema socioeconomico. Ma da qui Bazoli è partito per una sfida squisitamente culturale, lanciata direttamente all’interno del mondo cattolico, che attende per la fine di giugno la prima enciclica sociale di papa Benedetto XVI.
«Al progresso moderno dell’economia e della finanza, il pensiero cristiano non è stato certamente estraneo – ha ricordato Bazoli – ma è indubbio che il capitalismo sia germinato soprattutto all’interno dei valori culturali maturati all’interno delle confessioni riformate». Ora che – a livello globale – il sistema è entrato in fase di ripensamento teorico e ricostruzione operativa, i cristiani cattolici possono e devono far sentire la loro voce.
Non sappiamo se l’enciclica sarà più o meno lunga delle 18 pagine con cui l’Economist ha provato ad aprire – almeno sul piano dell’analisi giornalistica – una vera fase “ri-costituente” per il sistema finanziario internazionale. L’incipit è impietoso: “Il settore che è fallito è quello bancario. Si presumeva che le banche allocassero in modo efficiente il capitale presso imprenditori e consumatori: invece hanno dilapidato il credito presso chiunque lo chiedesse. Si supponeva che producessero utili grazie a una gestione competente dei rischi, trasformando debiti a breve termine in prestiti a lungo termine: invece sono state travolte da questo. Si immaginava che esse accelerassero il flusso di credito attraverso l’economia: invece lo hanno bloccato”.
Il seguito dell’analisi, naturalmente, è completo e interessante, ma rigorosamente ispirato all’empirismo culturale implicito nella cultura anglosassone: che – anche in caso di gravissimi “incidenti di percorso” – è essenzialmente preoccupata di capire “what went wrong”, cosa non ha funzionato. Il che può essere tecnicamente puntuale e duro nelle conseguenze, ma è cosa diversa dall’“esprimere un giudizio”: ciò a cui invece ha sollecitato il decano dei banchieri italiani, ciò che sta ultimando il pontefice-teologo nell’atto tipico di magistero.
Bazoli, dal canto suo, ha anticipato che un “capitalismo del Vangelo”, con al centro la persona, non è affatto impossibile, anzi. È falso che la dottrina della Chiesa avversi il mercato e le sue acquisizioni: è invece critica con la pretesa ideologica (laidamente mitologica) che il mercato sia autonomo dalle persone che lo animano e per le quali funziona. Con l’idea che detenga un primato che – in concreto – si traduce nella confisca e nell’abuso del mercato stesso da parte di pochi. E. Non è un “incidente”, è un momento di conoscenza, di nuova coscienza della realtà.