Chi scrive risponde, oggi, senza essere ingenuamente ottimista, alla puntuale analisi “pessimista” di Mauro Bottarelli, che opera “sul campo” a Londra. Il tema è oltremodo impegnativo, ma – inquadrato in questa premessa – è giusto provare a svilupparlo, anche se non in chiave di “fiducia e rassicurazione ad ogni costo”, come capita quasi quotidianamente di ascoltare dai Governi o dalle authority più svariate.

Perché, in ogni caso, sperare/scommettere sulla tenuta dei listini, o almeno su un loro non-crollo? Perché non lasciarsi scoraggiare da segnali macro via via più preoccupanti come il più recente: i sintomi di sostanziale disinvestimento strutturale di capitali cinesi dai mercati finanziari Usa?

Un primo argomento può essere questo: prezzi e indici sui mercati restano determinati dalla domanda e dall’offerta. Esiste un’offerta finanziaria in stand by? La risposta – e chi scrive chiede venia per il non poter di necessità fornire dati statistici puntuali – è: presumibilmente sì. Forse non nella misura che – a partire dalla fine degli anni ‘90 – ha gonfiato la bolla internet, ha reso tutto sommato “soft” l’atterraggio dopo l’11 settembre, rigonfiando non da ultimo la bolla immobiliare, drammaticamente scoppiata a partire da metà 2007.

Che si trattasse di risparmio privato “retail” delle famiglie europee o di capitali “grigi” provenienti da nuovi oligarchi russi o magnati cinesi, le Borse sono state a lungo sostenute da un oceano di liquidità che non si è mai inaridito. Le fonti si sono disseccate tutte e del tutto? I fondi sovrani, che inizialmente erano parsi propensi a “investire sulla crisi” – con approccio vagamente da “operatori-avvoltoio” – hanno tutti finito i soldi e chiuso per fallimento e ristrutturazione? Tutti i gestori di hedge fund sono nascosti ai Caraibi e hanno cambiato identità?

Gianni Credit è convinto di no. Certo – e Bottarelli non ha torto nel riferire un “feeling” oggettivo – è difficile prevedere se: a) gli investitori ritroveranno un minimo di fiducia per tornare in modo strutturato sui mercati; b) la paura e/o l’avidità spingerà gli stessi investitori ad attendere sempre un giorno, una settimana, un mese in più, nell’aspettativa di ritorni speculativi migliori da un “pavimento” più basso, ovviamente a condizione che il mercato non collassi prima.

La “main issue” della fiducia ci può condurre a un secondo ordine di considerazioni, di più stretta cronaca. Al pacchetto di nuove regole finanziarie pronte per essere presentate dal Tesoro americano si aggiungeranno, nei prossimi due giorni, le decisioni finali di capi di governo Ue sull’avvio della costruzione di una vigilanza bancaria unificata sui grandi gruppi europei (o almeno dell’Eurozona, se la Gran Bretagna resterà ferma sul no).

Il clima di svolta istituzionale – con la prima realizzazione delle indicazioni dei due ultimi G-20 – è quindi percepibile sulle due sponde dell’Atlantico. Lo stesso leader del Financial Stability Board – il Governatore di Bankitalia Mario Draghi – insiste da settimane (lo ha fatto anche ieri, e nuovamente in Germania) sull’uscita dalla crisi e in particolare dalle “politiche pubbliche”, cioè dagli aiuti straordinari al sistema bancario dissestato. E il nuovo dato Bce sulle svalutazioni dei portafogli nelle banche dell’area euro può essere interpretato come una sostanziale risposta sia di trasparenza che di solidità patrimoniale da parte del sistema creditizio (che pur rimane in mezzo al guado).

Soprattutto in America, il rimborso anticipato degli interventi pubblici in alcune grandi banche è un input discutibile, ma non privo di connotati tendenzialmente positivi nella lettura della sfera di cristallo delle Borse. Gianni Credit resta convinto che la voglia di “business as usual” (non a caso divenuto ormai sigla magica: Bau) sia finanziariamente rischiosa e politicamente scorretta: Wall Street ha semidistrutto i mercati e la loro credibilità, ha mandato in pezzi bilanci pubblici che avevano raggiunto faticosi equilibri, ha spinto le economie dentro una paurosa recessione, ha eliminato le spinte più virtuose della globalizzazione, che sarebbero state preziose in un delicato momento geopolitico.

Restituire subito (e quindi una volta per tutte) la libertà d’azione ai banchieri può quindi aumentare l’instabilità e diffondere un messaggio pericolosamente “diseducativo” per il business, per le istituzioni pubbliche, per tutti i singoli cittadini del pianeta. Però consentire a banche e banchieri di “farla franca”, tornando a operare con pochi vincoli sui mercati (magari ritrovando in parte anche i famigerati bonus), può avere un effetto tonificante forte e immediato sui listini.