A risultati elettorali ancora caldi, l’Ecofin si riunisce martedì 9 a Bruxelles per porre il “visto si stampi” su un documento di primo livello per l’exit strategy dalla crisi finanziaria, ma anche la più ampia “governance” istituzionale della Ue.
I ministri economici sono chiamati a formalizzare il progetto di attivazione di nuove strutture di vigilanza finanziaria e bancaria sovrannazionale. Le grandi linee del disegno – che discende dagli studi della commissione De Larosière – sono note. Un nuovo “consiglio europeo dei rischi sistemici” (Esrc) comincerà a svolgere una supervisione macroprudenziale sulle cosiddette “istituzioni sistemiche”: anzitutto, in concreto, le grandi banche che – come ha dimostrato la crisi globale – possono mettere in pericolo con i propri squilibri la stabilità dell’intero sistema. Un “sistema europeo dei supervisori finanziari” (Esfs) è invece incaricato di coordinare e omogeneizzare la vigilanza e le authority nazionali su banche, assicurazioni e Borse, cui resterebbe la vigilanza microprudenziale (cioè sui soggetti a rilievo nazionale).
I consigli sarebbero, nell’ipotesi pre-approvata a fine maggio, formati dai capi-authority dei 27. Per le banche è prevista una complementarietà tra governatori dell’Eurozona (E-16) e quelli della più ampia Unione a 27. È, per ora, lasciata aperta l’opzione di attribuire successivamente la vigilanza sovrannazionale alla Bce, la quale, comunque, è già una tecnostruttura funzionante a livello crossborder. Nel pacchetto è inclusa anche una regolamentazione più vincolante per gli hedge fund: gli intermediari con minor trasparenza e maggior propensione al rischio, veri volani della crisi assieme alla finanza derivata stipata in “veicoli” a loro volta spesso invisibili per mercati e supervisori.
È nota l’opposizione della Gran Bretagna (tra l’altro l’unico “Grande” della Ue a non aderire all’euro). La resistenza è ovviamente guidata dalla City londinese che – per quanto semidistrutta dal collasso dei mercati – vuol mantenere il suo status sostanzialmente “apolide”, senza fare i conti con i banchieri centrali del continente: in particolare quelli di Francia e Germania, oltre alla Bce e presidenza francese.
A due mesi dal G-20 di Londra, il contrasto tra le due sponde dell’Atlantico, non è stato ricomposto, anzi. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy erano stati fermi verso il presidente americano Obama e il padrona di casa, il premier britannico Gordon Brown. La priorità era (e resta) la ricostruzione rapida delle regole su scala internazionale, dopo i gravissimi danni portati (soprattutto dalle banche d’affari di Wall Street) al sistema finanziario globale, in particolare alle grandi banche europee: orientate non solo ai mercati ma anche al credito all’impresa e alla gestione del risparmio delle famiglie.
Negli Stati Uniti – com’è noto – le grandi banche salvate con maxi-aiuti pubblici alla fine del 2008, stanno già premendo per la loro restituzione, in modo da tornare al più presto al “business as usual”, archiviando i crack da subprime come un incidente di percorso della finanza globale. Questo forcing (che l’amministrazione Obama e la Fed stanno fronteggiando in modo elastico) trova un’ovvia sponda a Londra, altro pilastro della finanza anglosassone.
È questo “fronte di turbolenza” che rischia di far precipitare nel canale della Manica (se non in mezzo all’Atlantico) la nuova vigilanza Ue in fase di decollo. Proprio le elezioni europee, tuttavia, potrebbero pesare sulla bilancia. Da un lato una vittoria netta delle forze moderate (quelle che hanno come riferimento il Ppe) rafforzerebbe la fermezza “centro-continentale” sulle regole: e non è un caso che – già nei panni di “incoming president” del parlamento di Strasburgo – l’italiano Mario Mauro abbia lanciato un significativo attacco all’Antitrust Ue, finora marcatamente liberista.
Difendendo le agevolazioni fiscali al credito cooperativo (non solo italiano), Mauro ha dato un’indicazione politica chiara: l’Europa sente più fortemente l’esigenza di un sistema bancario meno speculativo e rischioso e più sano, regolato, orientato al servizio di famiglie, imprese e società civile. Non va d’altronde trascurata la singolare situazione politica britannica: il premier Gordon Brown è stato sfiduciato da sei suoi ministri. Resiste, ma in condizioni di estrema debolezza interna e quindi anche internazionale.
La posizione dell’Italia, nel frattempo, non è univoca. Anche se non più in presenza di tensioni aperte con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il Governatore dalla Banca d’Italia, Mario Draghi è stato abbastanza chiaro nelle sue Considerazioni finali del 29 maggio: per lui il cantiere vero della nuova supervisione finanziaria globale è il Financial Stability Board, da lui stesso presieduto. Il Board erede strutturato del precedente Forum, secondo Draghi, ha ricevuto un mandato chiaro dal G-20 all’interno di un’exit strategy pilotata dal Fondo monetario internazionale (di cui, com’è noto, gli Stati Uniti hanno poteri dominanti nella nomina dei vertici).
In particolare, ha detto Draghi, l’Fsb ha poteri di coordinamento su tutti i «collegi di supervisori» che si dovessero formare nel dopo-crisi: dunque, par di capire, anche i nuovi “consigli europei” (di cui Draghi del resto dovrebbe far parte in quanto Governatore italiano) troverebbero già sopra le loro teste un ulteriore “organismo”. Tremonti, d’altronde, continua a essere fautore di una forte e veloce ri-regolazione europea dei mercati finanziari all’interno della sua visione critica dell’attività bancaria troppo proiettata sui mercati.