Sul piano di salvataggio creditizio del gruppo Zunino – che sarà presentato dal nuovo vertice di Risanamento entro l’1 settembre al Gip di Milano – l’ultima parola della Procura sarà pronunciata dall’“aggiunto” Francesco Greco: il “super-procuratore” di fatto per i reati finanziari, nuovamente in odore di candidatura forte alla presidenza della Consob.

Curiosamente – anche se non troppo – la nuova procedura di ristrutturazione finanziaria “co-giudiziale” seguita per Risanamento sulla base dall’articolo 182-bis della legge fallimentare riformata – è stata nei fatti introdotta nella normativa dopo un lungo e complesso procedimento che ha avuto come protagonista un altro magistrato milanese: Alfredo Robledo, lui pure, oggi, procuratore aggiunto nel “palazzo” meneghino e in questi stessi giorni in piena azione sullo stesso fronte bancario.

Robledo ha aperto nelle scorse settimane un’inchiesta su UniCredit e Intesa Sanpaolo su operazioni in derivati con la britannica Barclays, con presunte finalità di pesante elusione fiscale (e va segnalata quanto meno la coincidenza temporale con il piano di “scudo fiscale” varato dal ministro Giulio Tremonti e con l’offensiva dell’Erario contro la famiglia Agnelli e altri grandi esportatori illeciti di capitali). Ma Robledo è lo stesso Pm che al giro di boa del decennio andò all’offensiva sulla liquidazione Trevitex, cioè del caso-pioniere delle crisi finanziarie dei primi anni ’90, quando le banche grandi creditrici iniziarono ad auto-gestirsi in via “stragiudiziale” i crack industriali più o meno conclamati.

La tesi del magistrato era che le banche avessero abusato della loro posizione, anteponendo i propri interessi agli altri: quelli degli altri creditori non bancari o minori, quelli degli azionisti (in quel caso la famiglia vicentina Dalle Carbonare); in ultima analisi, quelli aziendali della stessa società (Tangentopoli). Una posizione molto radicale, che ha portato sul registro degli indagati oltre un centinaio tra presidenti di banca, top manager, consulenti della liquidazione. Per di più l’azione sembrava muoversi sulle tracce di uno dei casi politico-finanziari-giudiziari più oscuri della Prima Repubblica: il salvataggio Imi-Sir, per il quale fu varata l’originaria “legge Prodi”, e che ebbe come esito successivo un clamoroso risarcimento danni per i proprietari del gruppo chimico salvato da un consorzio bancario. Negli anni ’90 si scoprì poi che la sentenza dei magistrati romani era stata gravemente inquinata.

A Milano, in ogni caso, il giudice di merito di primo grado ha dato parzialmente ragione, nel 2007, alle tesi di Robledo, comminando 32 condanne. Un giudizio significativamente pesante, idealmente esteso “a posteiori” a tutti i salvataggi di una stagione, culminata nel crack Ferfin. Ma se quest’ultimo coincise con una delle fasi più drammatiche di Tangentopoli (con il doppio, misterioso suicidio di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini), il settore bancario in quanto tale rimase relativamente immune da “Mani Pulite”. Banchieri furono coinvolti nelle inchieste per tangenti (come appunto quella Enimont, sui cui Greco fu l’investigatore di punta) ma non per il loro “core business”.

Il salvataggio del gruppo Ferruzzi – operato sotto la regia di Mediobanca – fu anzi uno dei passaggi chiave della ristrutturazione del capitalismo nazionale, nel quale l’intervento esclusivo dei creditori bancari e lo smembramento dell’impresa fu la regola, dopo che la prima ondata delle fusioni e acquisizioni “a leva” aveva sancito il primato dell’ingegneria finanziaria sulla produzione industriale. Contro le anomalie di questo passaggio Robledo avviò un’iniziativa che, vista oggi in prospettiva, è oggettivamente all’origine di una “Bancopoli” tuttora in progresso: cioè di una crescente richiesta di rendiconto giudiziario (e in fondo civile) all’operato di un sistema bancario che aveva enormemente aumentato dimensioni e peso dopo le privatizzazioni e le aggregazioni.

Nel 2003 è la Procura di Monza – assieme a quella di Roma – a indagare sul crack Cirio e sulle presunte responsabilità bancarie, soprattutto sul versante della tutela del risparmio e della sicurezza dei titoli di mercato. Alla fine dell’anno è però proprio Greco a scendere decisamente in campo all’esplodere della crisi Parmalat. Qui la Procura di Milano – affiancandosi alle indagini principali del Pm di Parma per bancarotta – ripropone con le sue investigazioni su presunto insider trading un interrogativo di fondo: un grave dissesto industriale come quello di Collecchio ha principalmente alla sua radice la “mala gestio” da parte dell’imprenditore o la “cattura” dell’impresa da parte della “piovra finanziaria”? Il giudice di merito milanese ha dato soddisfazione solo parziale a Greco, laddove nel mirino erano soprattutto grandi banche internazionali: per di più ancora in posizione di grande forza, prima dello scoppio della Grande Crisi. È vero, inoltre, che il bandolo processuale è ora in mano ai magistrati di Parma, dove più di un banchiere importante è alla sbarra per reati gravi (concorso in bancarotta ed estorsione), ma dove lo scenario resta abbastanza tradizionale e l’imputato-principe resta comunque Calisto Tanzi.

Ma Greco, nel frattempo, si ritrova rapidamente a lavorare su quello che è stato formalmente il primo capitolo di “Bancopoli”: le scalate della Popolare di Lodi ad Antonveneta e di Unipol a Bnl nel 2005. La cronaca è ancora fresca: Gianpiero Fiorani è stato arrestato ed espulso dal sistema (al pari di Stefano Ricucci, simbolo dell’“immobiliarismo” rampante); il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio ha dovuto dare le dimissioni; il leader di Unipol, Giovanni Consorte, ha dovuto abbandonare la guida della potente “finanza rossa” della Lega Coop. AntonVeneta è finita – come voleva il copione originario – all’olandese Abn Amro, ma ora è già tornata italiana in Montepaschi. Bnl è finita ai francesi della Bnp, ma ha cessato di essere protagonista nel sistema.

La “verità processuale” (al di là della distesa di intercettazioni telefoniche pubblicata “in corsa” sui media a inchiesta ancora aperta) non è ancora stata scritta. In ogni caso lo scenario era abbastanza chiaro: personaggi periferici del sistema bancario, spinti dalle bolle della Borsa e del settore immobiliare, tentavano la conquista di porzioni centrali dell’infrastruttura bancaria italiana. E se – almeno in termini di richieste di rinvii a giudizio – non sono in discussione i comportamenti illeciti e spericolati dei banchieri “arrembanti”, è pur vero che alla radice oggettiva di quella “Bancopoli” c’è stata l’autodifesa dell’establishment nazionale, imperniato sulle grandi banche. La Procura di Milano, nei fatti, non ha attaccato il ruolo delle banche, ma alcune banche non centrali che cercavano spazio tra le “major”.

Banche “non del tutto centrali” erano anche Italease e l’azionista di riferimento Banco Popolare (“salvatore” della Popolare di Lodi). Qui, mercé ancora l’esposizione sull’immobiliare (in particolare con Danilo Coppola) e il gioco spericolato su derivati, il chief executive Mauro Faenza è finito in manette, quello della capogruppo (Fabio Innocenzi) ha lasciato l’incarico e l’inchiesta marcia spedita verso il processo, che però si deve ancora celebrare.

Robledo, dal canto suo, ha aperto un fronte tutt’altro che simbolico (Comune di Milano) sul versante dei derivati collocati a man bassa dalle grandi banche internazionali presso le amministrazioni locali grandi e piccole. E ora ha rialzato il tiro per elusione fiscale dei colossi nazionali: gli stessi che del resto aveva messo sotto inchiesta e processo per Trevitex.

Il cerchio sembra chiudersi, incrociando le traiettorie di Greco, che da sempre ha interpretato efficacemente il ruolo di un magistrato “migliorista” del sistema finanziario, attraverso correzioni riformiste che incorporino l’esperienza di casi giudiziari. Quale linea prevarrà nell’autunno delle banche, possibile ventre molle di un già fragile “autunno italiano”? Il rigore di Robledo (che spicca peraltro nella quasi-assenza dei magistrati tra le rovine della Grande Crisi)? O l’approccio in fondo dialettico di Greco con il “main body” del capitalismo nazionale?