A conferma che il Meeting non è “Porta a Porta” ma un luogo “di pensiero e di azione”, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, durante una pausa del suo denso venerdì a Rimini, ha ricevuto in un salottino della Fiera i colleghi di San Marino: Antonella Mularoni (Esteri) e Gabriele Gatti (Finanze). Niente scambi di cortesie estive, solo lavoro. Niente “incontro di Stato”, ma un esame operativo del dossier “paradiso fiscale”. E il fatto che siano filtrate persistenti differenze di vedute su alcuni aspetti è una buona notizia: vuol dire che le parti stanno confrontandosi concretamente. Altrettanto sostanziale era stato del resto l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, quando lunedì, arrivando al suo incontro col leader della Cisl Raffaele Bonanni e il capo della Cdo, Bernhard Scholz, aveva detto che la sua banca era disponibile a considerare l’acquisto di Delta, la finanziaria finita nel mirino della Procura di Forlì per pesanti sospetti di riciclaggio. Il pressing del ministro (sta varando uno “scudo fiscale” pilota in Europa per il rientro dei capitali) e l’iniziativa del banchiere si sovrappongono su uno dei grandi assunti post-Grande Crisi: la bolla finanziaria drammaticamente esplosa sui mercati è stata alimentata anche da sacche di liquidità dirottata da circuiti bancari “sani”. E hanno quindi danneggiato tre volte Stati e società civili: sottraendo gettito fiscale; riducendo l’offerta di credito “produttivo” all’attività economica reale; facendo lievitare la “finanza per la finanza”, sempre più affamata di derivati-lotteria, da giocare in piazze-casinò offshore.



Tremonti (ministro di una maggioranza di centrodestra) è uno dei capofila delle prima ora – all’Ecofin, al G8, al G20 – dei governanti che vogliono rivalutare i legal standard sulla deregulation; la forza dei mercati nazionali o delle macroaree come l’Europa rispetto alla globalità più ampia e indefinita; l’attività bancaria come servizio reale rispetto all’intermediazione puramente speculativa. Ancora: è un sostenitore fermo della riduzione accelerata dei maxi-stipendi dei banchieri, troppo equivocamente sbilanciati sugli utili virtuali che sulla loro produttività di top manager aziendali. E a Rimini ne ha approfittato per una proposta – far strutturalmente partecipare i lavoratori ai profitti aziendali – talmente lontana dalla provocazione intellettuale da essere subito confermata all’indomani dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, come una “bozza di legge” da votare entro l’anno. Anche in questo caso, non si tratta di minestra statalista riscaldata, così come lo scudo non è un semplice riflusso nazionalista. Aiutare le imprese (o le banche) per questo governo di centrodestra, non vuol dire vuol dire aiutare “gli imprenditori” o “i banchieri”. Vuol dire piuttosto evitare che – come negli Stati uniti di Barack Obama – il deficit federale rialzato alle stelle serva per mantenere i super-bonus ai banchieri responsabili dello tsunami che ha fatto perdere casa, risparmi, lavoro, a milioni di americani. Vuol dire – nel caso dello “scudo” – ricordare che il mercato finanziario e il credito sono “beni pubblici”, che proprio il primato dell’economia di mercato fa scaturire una responsabilità sociale oggettiva in chi nasconde i propri capitali in una specie di “serrata dell’investitore”; più grave ancora dell’evasione fiscale. Non investire a tassi sostenibili in impieghi economici è per certi versi più grave ancora che alimentare gli investimenti “high-yield” che alla lunga distruggono i mercati.



Come Tremonti ha già ripetuto serissimamente è una ricetta che può essere etichettata “di sinistra” secondo vecchie categorie. Che certamente non è “liberista-di-sinistra” secondo la recentissima categoria di Francesco Giavazzi, principe degli economisti della Bocconi che a Rimini Tremonti ha ribattezzato “coro di maghi”. 

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