Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti non ha rinunciato a “benedire” personalmente – nella sua Milano – l’Avviso comune tra Confindustria e Abi sulla moratoria dei crediti alle imprese. Al quarto mandato in Via XX Settembre, per l’ennesima volta non gli pesano le accuse di “colbertismo” per un accordo “nazionale” tra due fronti “corporativi” (banche e imprenditori) chiamati dall’autorità governativa a disciplinare con regole “non di mercato” flussi finanziari decisivi per l’economia. Ed è simbolica, in questo senso, l’assenza del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: che sulla carta è a capo di un’authority molto pesante, fino a un passato recente, anzi, cabina di regia di un sistema bancario a controllo pubblico, a dimensione domestica, a natura dirigistca. Oggi invece, il banchiere centrale italiano è – come questa nota ha spesso sottolineato – uno dei capifila dell’establishment creditizio globalista.
E, come liberista ortodosso “malgrado tutto” – nonostante la grande crisi – Draghi non può concepire o avallare “accordi” ai due lati del mercato. Ha maltollerato dapprima la prospettiva di intervento pubblico nella proprietà delle banche (ma giusto ieri il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, ha confermato che dopo il Banco Popolare anche la Bpm e il Montepaschi stanno finalizzando la sottoscrizione di tremonti-bond e le stesse Intesa Sanpaolo e UniCredit sino “in fase istruttoria”). Poi ha guardato con diffidenza ogni iniziativa di stimolo “salvacredito”, sostenendo che un sostegno forzoso all’erogazione di prestiti ad aziende in difficoltà avrebbe soltanto innescato pericolose spirali di insolvenze. Ieri, infine, l’assenza – non solo fisica, ma politico-strategica – del Governatore alla sigla dell’Avviso comune sulla dilazione delle scadenze, ha marcato ancora una volta il fossato che divide le due “autorità creditizie” del Paese: quella governativa (che ha pressato le banche per generare una quarantina di miliardi di ossigeno per le imprese) e quella tecnocratica, che ha visto sostanzialmente diminuito il suo ruolo di vigilante sul corretto funzionamento dei mercati bancari e sulla solidità patrimoniale degli istituti. E una mancata reazione aperta di Via Nazionale è forse legata al fatto che, a malapena e grazie all’intervento determinante del Quirinale e della Bce, Bankitalia ha evitato (per ora) la rinuncia alle sue sue riserve auree: che secondo Tremonti non sono di proprietà dell’istituto centrale, ma solo in custodia per conto dei contribuenti.
La premessa implicita di politica monetaria e creditizia da cui muove Draghi – che resta leader del Financial Stability Board – è ancora la stessa: non è possibile “drogare” un sistema produttivo fermato dalla recessione, coartando le banche a concedere crediti che – al momento – quelle imprese on meritano. Le banche stesse rischiano di irrigidire i loro attivi, mettendo a rischio i depositi. Il ministro anti-mercatista, si muove in un orizzonte opposto: è ora che le banche smettano di giocare alla finanza e tornino a sostenere l’economia reale, cioè l’occupazione (e dunque i redditi e la domanda di consumo) e gli investimenti (e dunque la domanda di beni produttivi).
L’ “ossigeno” ottenuto con la moratoria dei prestito serve dunque a tenere in funzione il motore dell’Azienda-Italia in attesa che l’intera carovana dell’economia globale si metta davvero in moto. Tremonti (e l’intero Governo Berlusconi) non si stanno muovendo in fondo diversamente da come stiano facendo il gigante statunitense o i più forti tra i partner europei: il mini-boom del mercato dell’auto in luglio è stato reso possibile dai sussidi statali anzitutto in America.
Certo non è così che la Grande Crisi viene medicata in fretta e i mini-rally di Borsa (subito rimangiati dai mercati stessi) segnalano che il vero bene scarso resta la fiducia e che “l’inizio della fine della recessione” (Obama) potrebbe essere ancora di là da venire. Ma proprio per questo un Governo di un paese come l’Italia non può permettersi che la crisi finanziaria divenuta recessione si trasformi a settembre in disarticolazione dell’intero corpo economico-sociale.
E Il Governatore liberista e globalista non può certo permettersi di ricordare freddamente che se le persone – spaventate dai mercati – non si comportano come i mercati vorrebbero sempre si comportassero, allora è tanto peggio per loro…