La “tre giorni” dei super-banchieri a Basilea non ha scaldato il terzo Capodanno della Grande Crisi quanto le indiscrezioni – ieri a Wall Street – su fulmini in arrivo sul settore creditizio. Anzitutto quelli di Obama, che sta valutando se sottoporre banche e banchieri a una tassazione straordinaria: per cominciare a recuperare almeno in piccola gli ingenti sussidi pubblici erogati tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 per salvare le big americane; e poi per controbattere in tempo reale al ritorno dei maxi-bonus. Per di più il “general attorney” (capo della Procura) di New York, Andrew Cuomo, ha annunciato che chiederà a tutte le grandi banche nazionali informazioni dettagliate sui piani di compensi in premi e incentivi per l’anno fiscale 2009.

Nei prossimi giorni le grandi banche d’Oltre Atlantico presenteranno i loro preconsuntivi in un clima di apparente ritorno al “business as usual”. Un’atmosfera che i banchieri centrali e privati riuniti a Basilea, ospiti di Bri e G10, hanno continuato ad alimentare, dopo almeno 18 mesi impiegati a lottare contro la crisi di sfiducia: un virus che è parso – ed è poi in buona parte stato – più insidioso delle paurose emorragie di valori di bilancio provocate dall’epidemia dei subprime.

È vero che l’opinione pubblica si è stancata dei fine settimana sistematicamente all’insegna di qualche “G” d’emergenza e ha voglia di normalità. È anche vero che gli indizi di ripresa non mancano, per quanto il ciclo riparta da 400mila posti di lavoro in meno nella sola Italia. Però è difficile che la politica possa assecondare il tentativo della tecnostruttura finanziaria di archiviare la crisi finanziaria (responsabile della recessione globale) come un “incidente di percorso”, sanato da una specie di pedaggio obbligatorio da parte dei cittadini, utenti di un sistema monetario-finanziario “occupato”, “sequestrato” dai mercati e dai grandi intermediari.

Gli Stati (i cittadini e i loro governanti) rimangono convinti di aver fatto un prestito alle banche, non di aver erogato loro una provvidenza a fondo perduto. Tanto più se l’effetto stabilità tuttora offerto dalle garanzie pubbliche alle banche (dopo la stagione dei salvataggi nel giro di una notte) è il piedistallo di un rapido ritorno al lato più privato e vantaggioso dell’attività bancaria: i profitti da spartire tra soci e banchieri (molto spesso grandi azionisti).

Invece, ha ripetuto ieri il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, i rischi creditizi sono ancora in agguato e ha fatto eco ai solleciti del recente schema”Basilea 3”: non abbassare troppo presto la guardia degli aiuti pubblici e utilizzare i profitti per rimpinguare i patrimoni. Se Obama vuol rendere forzosa questa “moral suasion” per via fiscale, Trichet non ha potuto non dosare gli accenti preoccupati con quelli ottimistici. «La ripresa c’è», ha detto.

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Una speranza che certamente ha intessuto anche il discorso di Papa Benedetto XVI al corpo diplomatico. Ma il Pontefice (che anche recentemente ha diffidato di “maghi ed economisti” nella lettura del presente e del futuro del pianeta) ha tenuto lo sguardo ben fisso sulla realtà di una crisi «non superata», anzi. E il declino dell’etica – soprattutto in Europa – si è trasformato in un senso di «ostilità» e «disprezzo» diffusi nei confronti della religione che rischiano di «inquinare» rapporti e scelte.

 

«Le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti – ha detto Papa Ratzinger denunciando anche il fallimento del vertice sul clima di Copenaghen e la fatica con la quale si va affrontando l’instabilità sociale indotta dalla crisi economica – sono di ordine morale, e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo».