I segnali sono disparati, qualche volta minuti. Mediolanum – nata come assicurazione e candidata periodicamente alla fusione in Generali – annuncia di voler diventare la quinta banca retail italiana: e dopo aver rinunciato all’acquisto di Banca Sara (Automobile Club) continua a esaminare dossier su dossier di possibili banche-reti da integrare. Intanto lancia un “nuovo conto” che prova a combinare la caratteristiche di un conto corrente con quelle di una polizza assicurativa.
Ed è subito imitata da Unipol sullo stesso terreno di gioco allargato nel quale competono con più vigore i nuovi conti-deposito: tutti modellati sull’originale olandese di IngDirect, unità di un classico gruppo banco-assicurativo che l’urto della crisi non ha certo risparmiato. Sarà la banca-assicurazione uno dei motori reali delle ripresa in campo finanziario? E le filosofie di prodotto-mercato condizioneranno anche le evoluzioni strutturali dei grandi gruppi?
La stessa cronaca di questi giorni registra altre indicazioni. Il presidente-banchiere delle Generali, Cesare Geronzi, è stato uno dei commentatori più loquaci sul riassetto manageriale ai vertici di UniCredit: che pure è una banca non direttamente impegnata nell’azionariato del Leone. Piazza Cordusio è invece socio (ma solo al 9%) di Mediobanca che è tuttora azionista di riferimento (al 14%) delle Generali: che, apparentemente, continuano a perseguire una strategia di totale autonomia, eppure – a quasi 40 anni dal loro duplice ingresso nell’area di influenza congiunta di Mediobanca e della finanza francese – continuano a essere soggette a un incessante gioco di attrazione e repulsione verso il sistema bancario.
La traumatica uscita di scena di Alessandro Profumo, per certi versi, matura su una grande ambizione “banco-assicurativa”: la riorganizzazione integrata di un polo UniCredit-Mediobanca-Generali spinta dal peso crescente dei nuovi soci libici in Piazza Cordusio. Ora, invece, Geronzi e i suoi soci più fedeli (da quelli francesi in Mediobanca e Generali al gruppo Caltagirone) stanno precipitosamente ripiegando sulla linea di resistenza contro una possibile avanzata di segno opposto (le Fondazioni “leghiste” di UniCredit a valle verso Mediobanca e quindi Generali). Sempre “banco-assicurazione”, anche se osservata più con le lenti della politica che con quelle del mercato.
Inforcando quali lenti, invece, il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà, si accinge a esaminare – in istruttoria – l’istanza di revisione di Intesa Sanpaolo sulle attività di assicurazione vita? Il dossier è aperto da almeno quattro anni: da quando cioè Intesa si è fusa con il Sanpaolo, in parallelo al merger UniCredit-Capitalia alla fine fatale a Profumo.
Autorizzando la fusione Intesa Sanpaolo nel 2006, l’Antitrust aveva imposto tre obblighi. Primo: la cessione a soggetti terzi indipendenti di un ramo di azienda, composto da attività e strutture finalizzate alla produzione e gestione delle polizze assicurative. Secondo: il divieto di distribuire polizze prodotte da Intesa Vita o da Generali negli sportelli ex San Paolo e polizze prodotte da Eurizon Vita negli sportelli ex Banca Intesa. Terzo: misure di governance per evitare che i rappresentanti di Generali partecipassero alle discussioni e al voto su materie attinenti la strategia commerciale di Eurizon.
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Intesa, nel giugno 2009, aveva varato un piano di concentrazione di tutte le attività vita (comprese quelle dell’ex joint venture con Generali), chiedendo appunto una “revisione” della decisione originaria Antitrust. Ma questo dossier è stato sopravanzato dal confronto-scontro tra Intesa e Antitrust sul mancato rispetto degli accordi con il Credit Agricole, che si era impegnato a ridurre la sua quota (cosa poi avvenuta) ma l’aveva inizialmente legata in patto a quella delle Generali per ragioni contabili. Ancora le Generali, ancora un grande player del risparmio “banco-assicurativo” europeo (Credit Agricole ha promosso Amundi). E ancora la “politica”, oggi più che mai. Perché sarà pure tecnica la decisione dell’Autorità Garante di ridarsi 75 giorni di tempo per un verdetto definitivo per la bancassurance di Intesa. Ma a deciderlo è un presidente dell’Antitrust da tre mesi sulla graticola per un possibile passaggio alla guida della Consob: la nomina che – assieme a quella del ministro dello Sviluppo economico – tiene incagliato uno scenario governativo paralizzato dal caso Fini.
Se non è una visione troppo dietrologica, Catricalà (di cui sono noti i legami con la lobby del sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta, grande sponsor di Geronzi) sta mettendo sotto pressione sul versante “banco-assicurativo” anche l’altra grande banca italiana: non bisogna dimenticare che la stesa Intesa, e i suoi azionisti Fondazione Cariplo e Compagnia San Paolo sono tuttora azionisti stabili a Trieste.