Prendete un anno qualsiasi nel prossimo decennio. Una rinata Cassa di risparmio delle Province Lombarde (o di Verona, o di Torino) è soggetta a una regolazione – se non alla vigilanza – “concorrente” delle rispettive Regioni: Lombardia, Veneto, Piemonte. Quelle banche si ritrovano controllate dalle rispettive Fondazioni, in cui enti locali e società civile “stakeholders” sono fortemente influenzati dalla Lega Nord, partito-guida, se non di maggioranza relativa, di quei territori.
Mix fantascientifico di politica e finanza? Sì, parecchio. Anzi no: solo un po’. Del resto chi si sentirebbe di giudicare fantasiosa e velleitaria la proposta di legge depositata la scorsa settimana dalla Lega Nord sull’attuazione creditizia dell’articolo 117 della Costituzione? L’unica vera riforma istituzionale realizzata in 64 anni di storia repubblicana è appunto quella che ha introdotto il principio di sussidiarietà nell’ordinamento repubblicano: quella che ha accelerato l’evoluzione in senso federale del decentramento amministrativo.
E tra le competenze normative attribuite alle Regioni – su di un piano “concorrente” – c’è appunto quella che riguarda il credito locale: per la precisione casse di risparmio, case rurali (oggi banche di credito cooperativo), istituti di credito agrario e fondiario a carattere locale. «Compito di tali istituti – ha detto il capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni – è promuovere la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito a livello locale al fine di predisporre servizi finanziari adatti alle esigenze delle microimprese e delle Pmi operanti nell’area territoriale di riferimento. La massimizzazione del profitto non rappresenta infatti lo scopo primario dell’attività della banca a carattere regionale».
Il progetto di legge assume quindi la connotazione precisa di piattaforma di politica creditizia: in vista della possibile campagna elettorale o comunque di una “fase due” della legislatura. Se addirittura alla guida di un nuovo esecutivo approdasse l’attuale ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, l’iniziativa assumerebbe un significato ancora più forte: evocato del resto bene dall’espressione “anti-mercatista” sull’abbandono del parametro unico della massimizzazione del profitto in banca. Senza dimenticare che Tremonti – e dietro di lui la Lega – restano tra i più duri critici di “Basilea 3”: il tentativo di ridare regole e vigilanza alla finanza globale di fatto a spese di piccole e piccole imprese (infrastruttura produttiva dell’Europa).
Qual è la ricetta implicita nel “federalismo bancario”? Mantenere e incrementare la popolazione di “banche locali” a carattere semipubblico o cooperativo attorno ai grandi gruppi (i due maggiori italiani, Intesa Sanpaolo e UniCredit sono nella lista delle venti “banche sistemiche” già sotto la supervisione del Financial Stability Board). Casse di risparmio vecchie, ma soprattutto nuove: ad esempio (non fantascientifico), se nel futuro dei grandi gruppi dovesse realizzarsi qualche spin-off, magari anche solo di sportelli in esubero da accorpare in altre aziende regionali o addirittura in istituti nuovi.
In Piemonte c’è già un cantiere aperto: quello della Cassa di risparmio di Torino, promossa dalla Fondazione Crt (ex proprietaria della “vecchia” Cassa Torino confluita in UniCredit) e da Carige, la sola grande Cassa di risparmio rimasta autonoma. Il Credito cooperativo, dal canto suo, è già organizzato su base federale, cioè in strutture associative regionali. A modo suo, anche la nuova Banca del Sud, promossa dal Tesoro ha i connotati di “politica creditizia federalista”. Il cui corollario è evidente: in un sistema finanziario che fatalmente si ri-pubblicizza e si de-globalizza dopo la grande crisi, le banche locali sarebbero il braccio delle politiche di sviluppo sempre più ribasate nel settore pubblico.
Non è la Cassa depositi e prestiti (controllata da Tesoro e Fondazioni) la vera banca di sviluppo del paese? Non sono i nuovi grandi fondi pubblico-privato (social housing, infrastrutture, garanzia Pmi, etc) le nuove leve di una nuova fase di rilancio misto? La Lega, quindi, si muove. La nuova economia finanziaria non può che essere federalista, i suoi circuiti transitare da banche sempre vigilate dalla Banca d’Italia ma soggette a poteri (ad esempio di autorizzazione od operatività) delle Regioni. Il Governatore Mario Draghi, a Seul per il G20, ha parlato solo dei progressi di “Basilea 3”. Al ritorno a Roma farà bene (non solo lui) a occuparsi anche di cosa ne pensa il Carroccio.