La “fumata nera” per la nuova presidenza Generali è tutto fuorché una “notizia mancata”. L’ultimo tour de force di summit (prima quello del patto Rcs, poi l’esecutivo Mediobanca sulle nomine a Trieste) ha invece maturato e in parte chiarito l’ennesima campagna di primavera del grande capitalismo italiano. La decisione dei soci-chiave del Corriere della Sera di entrare compatti nel consiglio d’amministrazione della Rcs Quotidiani, è un’apparente bizzarria per la governance societaria: nella quale, normalmente, chi comanda davvero sta nelle holding. Ma il parterre di Rcs Mediagroup – dopo il tentativo di scalata di Stefano Ricucci – è rimasto affollato e frastagliato.
Agli azionisti storici del patto (Mediobanca, Fiat, Intesa Sanpaolo, Generali, Edison, gruppi Pesenti, Ligresti, Della Valle, Fondiaria, Italcementi, ecc.) si sono aggiunti, fuori patto, i gruppi Benetton, Caltagirone, Rotelli. La semplificazione – anche a fini di definizione della linea editoriale del Corriere – è dunque avvenuta a valle, nel consiglio della controllata Rcs Quotidiani: un presidente-garante (Piergaetano Marchetti, ex leader del patto Mediobanca), i “duumviri” bancari Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi e quattro imprenditori di bandiera – Luca di Montezemolo (Fiat) Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Giampiero Pesenti (Italcementi) e Diego Della Valle.
I primi tre sono certamente integrati in quel capitalismo bancocentrico che ha in Intesa Sanpaolo e in Mediobanca (e nel suo socio-pivot UniCredit) il suo attuale baricentro; nelle Generali l’eterno “oggetto del desiderio”, nel Corriere un prestigioso portavoce, in Telecom un’azienda-paese che può ancora evolvere da problema a vera opportunità strategica.
Il nuovo “format” societario per il Corriere è in ogni caso un primo punto fermo, tutt’altro che trascurabile anche ai fini del riassetto Mediobanca-Generali. In campo hanno deciso di scendere in prima persona i due grandi banchieri (Bazoli e Geronzi), dotati di leadership proprie e “moderati” da una solida figura di garanzia come Marchetti. Se Intesa Sanpaolo fa capo a una nutrita pattuglia di Fondazioni (capeggiate da Cariplo e Compagnia San Paolo), l’assetto di Mediobanca ha due grandi riferimenti autonomi: i soci francesi guidati da Vincent Bolloré e dallo stesso presidente uscente di Generali Antoine Bernheim; e UniCredit, a sua volta ancorato a grandi fondazioni come CariVerona e CariTorino.
E razionalizzando al massimo anche il contesto politico: Mediobanca, Geronzi e i soci francesi dialogano con il premier Silvio Berlusconi (Fininvest è tra l’altro socio in Piazzetta Cuccia e grande azionista di Mediolanum); le Fondazioni – tutte – interfacciano con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti (anzitutto attraverso la Cassa Depositi e Prestiti) e garantiscono contatti “multipartisan” con i territori del Nord, sempre più popolati di amministrazioni leghiste, anche se non abbandonati da quelle del Pd. In ogni caso il nuovo amministratore delegato della Cdp, Gorno Tempini, viene da Mittel (la holding bresciana guidata da Bazoli) e prima ancora da Intesa.
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E su questo sfondo ha preso forma il modello-direttorio per Rcs, mentre su Generali e Mediobanca il confronto è più serrato in attesa dei termini per la presentazione delle liste per l’assemblea del Leone (6 aprile). L’85enne Berhneim è in scadenza e non può essere rinnovato (ma diventerà quasi sicuramente presidente onorario e in quanto tale – come Enrico Cuccia in Mediobanca – continuerà ad avere qualche influenza). Geronzi è indubbiamente allettato dalla possibilità di trasferirsi a Trieste: per l’assoluto prestigio internazionale della carica, per la rete di partecipazioni e la massa di manovra che le Generali possono assicurare a un banchiere attivo come il presidente di Mediobanca; non da ultimo, perché i requisiti di onorabilità richiesti dalla vigilanza sulle compagnie assicurative sono per ora meno stretti di quelli fissati per le banche.
E questo potrebbe essere rilevante se alcuni procedimenti giudiziari che coinvolgono Geronzi (Parmalat e Cirio) avessero sentenze di primo grado non favorevoli. È pur vero che Geronzi (che per due volte è stato sospeso in via cautelare dalla presidenza di Capitalia e dalla vicepresidenza di Mediobanca) ha già ribadito di ritenersi innocente dalle imputazioni contestategli e ha fatto capire di volersi comunque opporre con ogni mezzo a richieste di sospensione da parte di soci e autorità: anche nel caso in cui rimanesse alla presidenza di Mediobanca.
Resta il fatto che le sue meditazioni sono state prese estremamente sul serio da altri: anzitutto da Fabrizio Palenzona, storico “plenipotenziario” della Fondazione Crt, vicepresidente di UniCredit, membro dell’esecutivo Mediobanca (molto legato all’eredità di Vincenzo Maranghi) ora anche azionista diretto di Generali, dopo la vendita-blitz del 2,2% da UniCredit a una cassaforte partecipata da Crt. Il peso e la struttura della Palenzona-connection in Mediobanca-Generali è oggi quindi paragonabile a quella dei soci francesi e il gioco è molto leggibile.
Se Geronzi si trasferirà a Trieste, Palenzona intende succedergli in Mediobanca. In caso contrario vuole sedersi al tavolo del dopo-Bernheim nel Leone in condizioni di parità con Geronzi (il quale può contare sull’appoggio esterno del gruppo Caltagirone) e con i soci francesi. È in questo orizzonte che hanno preso consistenza due simmetriche candidature manageriali, sia per Mediobanca, sia per le Generali.
Per la presidenza della prima sarebbe in corsa Renato Pagliaro, oggi direttore generale, fino all’anno scorso presidente del consiglio di gestione nella governance duale. Pagliaro – tornato formalmente all’amministratore delegato Alberto Nagel, che ha potere di proposta nel comitato nomine di Mediobanca – è considerato tuttavia l’erede più autentico di Maranghi, delfino di Cuccia e ultimo leader dell’istituto davvero autonomo. Molto stimato da tutti i soci di Mediobanca e da tutta la Milano finanziaria, Pagliaro sarebbe inequivocabilmente una mediazione vincente per Palenzona (che forse potrebbe aggiungere una vicepresidenza “esecutiva” di Mediobanca in quota UniCredit). Una presidenza Magliaro garantirebbe d’altronde l’autonomia del management di Mediobanca e una gestione equilibrata delle partecipazioni strategiche (Geneali, Telecom, Rcs). Geronzi presidente delle Generali resterebbe presidente del patto di sindacato Mediobanca? Forse inizialmente sì, ma è un altro dossier che dovrà essere aperto entro Pasqua.
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Se invece Geronzi dovesse (o volesse) restare in Mediobanca, per il Leone è già spuntata la candidatura di un “gemello” di Pagliaro: Giovanni Perissinotto, primo amministratore delegato. A Trieste non è infrequente che il top manager a fine carriera diventi presidente, anzi. Lo ha fatto il predecessore di Berhneim, Gianfranco Gutty e prima di lui Alfonso Desiata. In un passato recente Enrico Randone ed Eugenio Coppola di Canzano venivano dagli alti ranghi della compagnia. Verso il mercato sarebbe una scelta ineccepibile, visti i risultati ottenuti da Perissinotto negli ultimi anni e sotto la pressione della crisi. E la designazione “tecnica” eviterebbe ai grandi soci di scegliere tra di loro.
Soddisfatto sarebbe probabilmente anche Bazoli, che conta ancora le Generali tra gli azionisti stabili di Intesa (ma lo stesso Geronzi non verrebbe affatto vissuto come una minaccia, neppure dalla Fondazione Cariplo, che ha un pacchetto importante a Trieste). Attorno a Perissinotto ipotetico presidente – è già noto – si siederebbero meno consiglieri. E sarà in ogni caso interessante vedere come si ricomporrà un altro prevedibile consiglio-direttorio, del quale farà parte anche Palenzona o chi direttamente nominato da lui.
La suggestione di Piazza Affari, naturalmente, non riesce a trascurare scenari più fanta-finanziari. Una lista di minoranza sarà in ogni caso presentata dai fondi comuni italiani, coordinati dall’Assogestioni, di cui è freschissimo presidente l’ex ministro del Tesoro Domenico Siniscalco. È attraverso questa lista che un pacchetto tradizionalmente dormiente in Generali (il 4,4% della Banca d’Italia) si è “svegliato” all’ultima tornata di nomine dei sindaci, per contenere a Trieste lo strapotere della “maggioranza Mediobanca” in nome delle regole del mercato e delle public company.
In uno scenario (in vero ben poco probabile) di scontro – Geronzi, i francesi e Caltagirone da una parte; Palenzona e Bazoli dall’altra – non sarebbe inverosimile che le Fondazioni (Cariplo, Crt, Sanpaolo, Carisbo, Cariverona) unissero i loro pacchetti a quelli della Banca d’Italia, di Intesa e degli altri investitori istituzionali nella cosiddetta “lista Assogestioni”. A questo punto, l’ultima assemblea presieduta a Trieste sarebbe probabilmente per Bernheim la più divertente.