Questo piccolo osservatorio settimanale non aveva dubbi che Cesare Geronzi si sarebbe trasferito dalla presidenza di Mediobanca a quella delle Generali. Era invece convinto che come vera “controparte contrattuale” del grande riassetto tra Milano e Trieste sarebbe emerso Fabrizio Palenzona: dominus della Fondazione Crt (neo-azionista del Leone) e uomo forte di UniCredit in Piazzetta Cuccia.
Invece la “fumata bianca” di venerdì nel comitato nomine di Mediobanca è stata apparentemente accesa dai soci francesi, capitanati da Vincent Bolloré, preoccupati dall’uscita di scena di Antoine Bernheim. Il fronte internazionale (al quale fa capo anche Tarak ben Ammar, vero ambasciatore di Silvio Berlusconi nel crocevia finanziario di Mediobanca) ha dato via libera a Geronzi, ma l’ha subito circondato a Trieste su vari fronti: la presidenza ben più che onoraria a Bernheim (che a Trieste è di fatto in sella da quasi un ventennio e ne conosce ogni angolo); e due – o forse tre -vicepresidenze.
La prima è stata affidata allo stesso Bolloré, sempre meno “raider internazionale”, sempre più uomo-chiave dell’establishment finanziario europeo da sempre un po’ “azionista di riferimento” delle Generali. Un Bolloré che dialoga alla pari con il presidente francese Sarkozy, con il premier italiano Berlusconi, con il superbanchiere spagnolo Emilio Botìn. È vero che Bolloré – mano a mano che le cronache riversano dettagli del confronto finale – avrebbe dovuto dimezzare la rappresentanza diretta dei soci esteri a Trieste.
La seconda premia l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel: che aveva il potere di proposta in comitato nomine, ma rischiava di essere l’unico penalizzato dal grande giro di poltrone. Mediobanca ha tradizionalmente diritto alla seconda poltrona a Trieste: ma normalmente era occupata dal presidente (ultimamente Gabriele Galateri di Genola) e non da una figura di ben diversa conoscenza dei dossier strategici e gestionali come il Ceo di Piazzetta Cuccia.
La terza vicepresidenza (che tuttavia non è certa) promuoverebbe l’amministratore delegato Giovanni Perissinotto, già “group chief executive” e da sempre fidato sia di Bernheim che del management Mediobanca. L’effetto-annuncio, in ogni caso, è già di per sé significativo nello stemperare ulteriormente l’effetto-Geronzi, preconizzando da subito Perissinotto alla successione e sottolineando implicitamente l’eccezionalità di una presidenza esterna.
Sarà in ogni caso interessante vedere se la presidenza di Geronzi sarà irrobustita da qualche delega, al di là di quella probabile ma generica sulla “supervisione della governance e sul management”. Ad esempio una delega sulle partecipazioni. Il banchiere continuerebbe così ad avere voce diretta in capitolo in partite come Telecom o Autostrade e nelle decine di società partecipate dal gigantesco portafoglio del Leone: non escluse le presenze nei fondi pubblico-privati di sviluppo promossi dal ministro dell’Economia attraverso la Cassa depositi e prestiti.
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Geronzi, invece, resta membro del patto di sindacato Mediobanca, ma ne perde la guida: nonostante i tenaci tentativi di mantenerla. Sarà sostituito da Angelo Casò, uno dei più prestigiosi commercialisti milanesi, da sempre di casa in Via Filodrammatici (come sindaco, poi come membro del consiglio di sorveglianza, oggi come consigliere indipendente). Con lui viene ripristinata la figura classica di leader-garante del patto, a suo tempo impersonata da Ariberto Mignoli e poi da Piergaetano Marchetti. Con questo passaggio e con la più appariscente nomina di Renato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca, il decennale della scomparsa di Enrico Cuccia si celebra all’insegna di una relativa restaurazione.
A Pagliaro – finora direttore generale cresciuto alla scuola interna dell’istituto assieme a Nagel e a Matteo Arpe (bruscamente uscito dopo l’Opa Telecom) è stato esplicitamente riconosciuto il titolo di “erede morale” della tradizione dirigenziale dell’istituto da Vincenzo Maranghi: l’amministratore delegato di Mediobanca defenestrato nel 2003 e prematuramente scomparso quattro anni dopo. Ed è il nome di Pagliaro – ineccepibile finora nella guida il leggendario portafoglio partecipazioni di Mediobanca (Rcs, Generali, Telecom, etc) – a suggerire una riflessione più sfumata – ma non meno strutturale – sull’inevitabile compromesso maturato in questi giorni.
Era sempre stato UniCredit – e in particolare l’amministratore delegato Alessandro Profumo – a considerare apertamente i manager il vero punto di riferimento in Mediobanca. Erano stati Profumo e il presidente Rampl a difendere Pagliaro e Nagel durante il turbolento abbandono della governance “duale” due anni fa. Ed era stato Palenzona – membro dell’esecutivo di Mediobanca – a promuovere la mediazione finale, tenendo aperti gli spazi per i manager nel consiglio d’amministrazione tradizionale voluto da Geronzi. Oggi Pagliaro è presidente, Nagel è rafforzato e Geronzi non ha più ruolo in Piazzetta Cuccia.
Questa nota continua a non avere dubbi che Palenzona fosse in predicato per una delle caselle del nuovo organigramma: la presidenza stessa dell’istituto oppure quella del patto. Per ora, invece, nel suo carniere c’è solo la designazione di un consigliere a Trieste: Angelo Maglietta, economista della Cattolica, segretario generale della Fondazione Crt, dopo essere stato a lungo commissario della Fondazione Cariplo indicato dall’amministrazione leghista del Comune di Milano.
Ma il peso reale di Palenzona al termine del riassetto andrà misurato prevedibilmente più in là: forse con l’assunzione della vicepresidenza Mediobanca in quota UniCredit, oggi retta da Rampl. Nel frattempo la situazione è in movimento proprio in Piazza Cordusio, dove lo stesso Profumo è a un passaggio critico. Il suo progetto di “banca unica italiana” non piace alle grandi Fondazioni azioniste, le quali a loro volta dovranno fare i conti con un quadro politico settentrionale più fortemente dominato dalla Lega.
Per questo Palenzona potrebbe anche essere stato indotto ad attendere sviluppi che potrebbero essere imprevisti e ravvicinati in UniCredit. D’altro canto Torino ha confermato proprio in questi giorni di essere il laboratorio di nuove combinazioni sul crinale fondazioni tra politica e finanza. La Compagnia San Paolo (primo azionista di Intesa Sanpaolo) ha deciso infine di candidare come vice-Bazoli l’economista Elsa Foriero, cancellando all’ultimo istante il nome proposto dal sindaco Sergio Chiamparino: Alfonso Iozzo, ex amministratore delegato del Sanpaolo di Torino e d ex presidente della Cassa depoisti e prestiti. Ma anche un tempo vicino ai Ds, oggi al Pd.