«Sono venuto a Rimini nel ricordo di don Giussani, non vado mai a Cernobbio». Più asciutto di così il presidente delle Generali (ma “banchiere” da sempre e per sempre, tra Capitalia e Mediobanca) non poteva essere nel rintuzzare – in fondo a nome del Meeting stesso – una spigolatura di Marco Alfieri sulla prima pagina di La Stampa: il Meeting di Rimini (pur con le sue migliaia di incontri attorno a decine di appuntamenti) non finisce per somigliare un po’ troppo alla “full immersion” di un paio di centinaia di selezionatissimi vip globali in un salone chiuso di Villa d’Este?



Per la controprova basterà attendere pochi giorni: il Workshop settembrino di Cernobbio andrà in scena da venerdì a domenica. Ma il benchmark di Rimini 2010 – sul terreno della riflessione sul capitalismo che forza l’uscita dalla crisi – è stato posto in alto: l’intervento di Sergio Marchionne – nella sua realistica durezza sull’esigenza di rivedere il “patto sociale” nell’economia produttiva – risuonerà ancora sulle rive del lago di Como e non sarà una brezza facile per i tecnocrati di Cernobbio, in parte convinti che per vincere la recessione e ricostruire i mercati (non solo quelli finanziari) basti riscrivere le regole.



Non è un caso che Giorgio Vittadini, già alla vigilia della visita dell’amministratore delegato della Fiat, avesse confermato la sua fiducia su un intervento altamente riformatore, pari a quello del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi al Meeting nel 2009. E se il presidente del Financial Stability Forum aveva incontrato una cooperativa di carcerati-pasticcieri, Geronzi non si è perso la mostra sulla crisi finanziaria che la conversazione con Draghi, un anno fa, aveva ispirato. Poi – in sala, a fianco del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia – Geronzi si è permesso una frecciata ai suoi (ex) colleghi, magari proprio a quelli che si accomoderanno in sala a Villa D’Este.



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«Il sistema creditizio italiano deve ripristinare in fretta un rapporto efficace con la clientela delle famiglie e delle imprese, senza insistere sulla rivendicazione continua nei confronti della politica». Guardando poi all’exit strategy internazionale: «È ora di pensare a una banca centrale mondiale». Cosa tiene assieme le due riflessioni del presidente delle Generali? La convinzione che il sistema finanziario e le banche debbano abbandonare in fretta l’astrazione dall’economia reale, dalla società, dal sistema istituzionale. Che il primato autonomo della finanza sia ormai palesemente un pericolo se la moneta e il credito non si misurano quotidianamente con le esigenze di chi produce e risparmia: se non interagiscono con le altre parti del sistema socioeconomico. Ma lo ha riconosciuto anche Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo: «Le banche devono essere partecipi del rilancio un sistema-paese», la politica economica non è più obsoleta come si riteneva prima del 2007, il mercato ha dimostrato di non essere pronto per regolare (esclusivamente) il presente e il futuro.

 

Non ha stupito che Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri, abbia lanciato con forza la strategia del microcredito: anche in Europa, anche in Italia. Non è più un esotismo da quarto mondo, né è “anti-credito”, anzi. Sia sul versante sociale (lotta alla recessione e sostegno alle famiglie in difficoltà), sia in quello più propriamente economico (soprattutto in appoggio all’imprenditorialità giovanile come lotta al precariato e alla disoccupazione), il microcredito è un diverso modo di far funzionare il mercato.

 

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Anzi: sfida le banche sul loro terreno (il controllo del rischio creditizio al di là delle rigidità tecnologiche), le sollecita a riscoprire la capacità di affidare persone con buone idee e ridotte garanzie reali, con molta voglia di lavorare ma pochi quattrini. Anche in questo ambito le Fondazioni invitano a riscoprire tutti i lati di un paese: le reti sociali che devono agganciare coloro che sono meritevoli di microcredito; le banche che devono erogare loro un prestito (non un sussidio assistenziale), comunque a condizioni di mercato; le nuove agenzie di tutoraggio che gli enti locali possono promuovere con il supporto delle Fondazioni.

 

Ma sono poi così diverse queste nuove “mediatrici creditizie” dai rinnovati consorzi-fidi che dovrebbero rifacilitare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese? Il neo-presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari (numero uno del Montepaschi) a Rimini è stato categorico: “Basilea 3” – pur riveduto e corretto – resta poco digeribile per un sistema economico popolato di piccole iniziative. Non è giusto né per la banche commerciali della tradizione italiana, né per le imprese del Made in Italy che i flussi creditizi vengano imbrigliati nei rating globali di un’architettura di vigilanza prudenziale pensata ancora prima della crisi.