La ricapitalizzazione da due miliardi avviata del Banco Popolare e l’ipotesi che vi partecipino in forze le Fondazioni CariVerona e CariTorino suggeriscono alcune riflessioni sulle linee di riassetto del sistema bancario italiano in difficile uscita dalla crisi finanziaria.

È forse inevitabile – anche se a rischio di fuorvianza – partire “dall’alto”: dal sindaco di Verona Flavio Tosi – leader più che emergente della Lega Nord – che ha apertamente sollecitato l’intervento della Fondazione scaligera, di cui ora è il principale “stakeholder”, avendovi confermato personalmente alla presidenza Paolo Biasi.

A Torino la situazione non è omologa, ma è vero che la Lega ha conquistato la presidenza della Regione (anche se l’esito elettorale è in parte ancora disputato). Tuttavia il Comune (con Sergio Chiamparino), la Provincia (a guida Pd) e altri enti pubblici designatori di consiglieri mantengono ancora una presa salda sulla governance sia della Fondazione Crt che della Compagnia San Paolo.

Però lo storico “uomo forte” della Fondazione resta l’alessandrino Fabrizio Palenzona (oggi vicepresidente di UniCredit e membro dell’esecutivo Mediobanca), un Dc “mai pentito” che conserva oggi un forte ruolo di collegamento trasversale tra gli schieramenti politici e tra il mondo politico e quello degli affari (tra Fondazioni, grandi banche e infrastrutture).

I due approcci (Tosi e Palenzona) sono contigui e talora sovrapposti: far leva su una nuova dimensione dell’“italianità” in economia, quella rappresentata dal capitalismo “misto” rinato nell’Italia del Nord dopo il riassetto creditizio a opera della Fondazioni. Né va dimenticato che il Banco Popolare ha aggregato la storica Popolare di Novara e non a caso all’assemblea dell’11 dicembre – che ha lanciato l’aumento di capitale – è nuovamente intervenuto il sindaco leghista di Novara, Massimo Giordano (che è anche Assessore regionale allo Sviluppo economico): portatore di una stessa linea di “appoggio attivo” a quella che resta una grande banca cooperativa di territorio.

 

Palenzona, dal canto suo, si è reso protagonista di recente di un’iniziativa che ha fatto molto discutere: la proposta di ricostruire – attraverso la Fondazione Crt – una “cassa di risparmio di Torino” con l’appoggio di Carige (l’ultima grande Cassa di risparmio autonoma in Italia). Un progetto direttamente innestato nello sviluppo del “federalismo creditizio” apertamente sollecitato dalla Lega con una recente proposta di legge (ne abbiamo già parlato su ilsussidiario.net).

 

Se l’humus politico-sociale è evidente, la prospettiva economico-finanziaria interessa comunque la quarta banca italiana e le due Fondazioni che restano le azioniste-presidio della prima banca italiana (UniCredit). Quello che sembra delinearsi è dunque un movimento strutturale non incongruente da una congettura già formulata in una questa piccola nota: che, cioè, dopo la traumatica uscita di scena di Alessandro Profumo, anche il futuro di UniCredit possa essere toccato da forti discontinuità.

La presenza degli investitori sovrani libici rimane un’incognita (a maggior ragione dopo le polemiche suscitate dalle rivelazioni di Wikileaks sui rapporti preferenziali tra il premier Silvio Berlusconi e il leader di Tripoli, Gheddafi). Dall’altro lato, il presidente Dieter Rampl, che ha formalmente dimissionato Profumo, appare sempre più un “gauleiter” degli interessi tedeschi, che considerano vitale tutta la vasta rete di UniCredit in Germania (ex Hypobank) e nell’Europa dell’Est.

 

Un break-up tra attività domestiche, attività europee e partecipazioni strategiche di UniCredit resta nell’ordine delle cose: a maggior ragione se associato a chiarimenti ulteriori sullo scacchiere Mediobanca-Generali. Non sarebbe quindi sorprendente – e neppure “scandaloso” – se le Fondazioni CariVerona e Crt (assieme alle forze politiche e di territorio all’interno delle quali esse si muovono) guardino ad accelerazioni niente affatto improbabili e soccorrano una grande banca territoriale a corto di capitali e probabilmente avviata all’abbandono della formula cooperativa stretta nel modello societario.

 

E se Mediobanca – guarda caso – sarà la regista dell’aumento del Banco, non va dimenticato che il gruppo veronese ha incorporato quella Popolare di Lodi che – sotto la guida controversa di Gianpiero Fiorani e la protezione più opaca ancora dell’allora Governatore Antonio Fazio – si era resa protagonista di tentativo di scossa del sistema finanziario nazionale (scalate Antonveneta, Bnl e Rcs) che – appena cinque anni dopo – sono oggetto di letture profondamente diverse.