Il futuro di Pioneer, il maggior gestore di risparmio gestito con passaporto italiano, merita qualche riflessione non solo da addetti ai lavori. UniCredit ne ha preannunciato la vendita quasi un anno fa, quando ancora alla guida si trovava Alessandro Profumo. Un passo strategico e simbolico tutt’altro che irrilevante: assieme allo sviluppo nell’Europa dell’Est, la crescita accelerata nell’asset management era stata il grande cavallo di battaglia di Profumo, che era il giovane capo della Dival (la rete finanziaria della Ras) quando fu chiamato a pilotare il Credito italiano privatizzato.

E l’acquisizione del gestore americano Pioneer – unita alla delocalizzazione globale dell’asset management di UniCredit tra Dublino e Boston – contribuì non poco a fare di Piazza Cordusio un “front runner“ nel sistema bancario europeo. E parecchi dei super-Roe di UniCredit a cavallo tra i due ultimi decenni sono stati sostenuti dalla capacità del gruppo di trasformare in modo rapido e massiccio il risparmio bancario e amministrato (titoli di Stato in custodia) in vero “risparmio gestito”: fondi comuni, polizze e altri strumenti d’investimento, sempre più sofisticati. Non a caso proprio il capo di Pioneer – Fabio Innocenzi – fu chiamato come amministratore delegato del quarto gruppo creditizio italiano, il Banco Popolare.

Ma oggi i mercati sono stati sconvolti dalla crisi finanziaria e Profumo non è sopravvissuto nella stanza dei bottoni di Piazza Cordusio. Neppure le attività di gestione del risparmio del gruppo – il più esposto tra quelli italiani alla finanza globale – sono uscite indenni: le ombre del crack Madoff hanno lambito anche UniCredit. Il quale, in ogni caso, non ha più la capacità – in questa fase – di sostenere un ulteriore “balzo di avanti” di Pioneer come operatore globale. Anzi, se ne vuole privare per rendere più leggero e flessibile un bilancio un po’ acciaccato per la lunga convalescenza dei mercati e non ancora in linea con i nuovi requisiti patrimoniali di Basilea 3.

All’asta per Pioneer, ora gestita dal nuovo Ceo Federico Ghizzoni, si sono presentati tre offerenti. In pole position c’è Amundi, risultato di un’operazione-paese: due colossi come Credit Agricole/Credit Lyonnais e Société Générale hanno aggregato le loro attività in una piattaforma unica. Che ora preme nuovamente a sud delle Alpi, come hanno già fatto lo stesso Agricole (che controlla CariParma-Friuladria) e la Bnp (che ha acquisito la Bnl). Come sta facendo Groupama con Fonsai in campo assicurativo e sta provando a fare definitivamente Edf con Edison in quello energetico (casi a parte sono Air France-Alitalia e l’ipoteca francese su Ntv, futuro operatore privato nell’alta velocità ferroviaria). Ma anche il candidato concorrente per Pioneer abita a Parigi: è Natixis, il gestore di un polo bancario semipubblico, quello nato dalla fusione tra il gruppo Banque Populaire e il Caisse d’Epargne. Il terzetto dei candidati a Pioneer è completato da Resolution, un grande fondo di private equity, quasi sicuramente interessato a una rivalorizzazione speculativa di Pioneer, attraverso la rivendita a pezzi.

È su questo sfondo che ha preso quota un’ipotesi di lavoro “in nuce” già da parecchi mesi tra Milano e Roma: cioè lungo l’asse di spola del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha via via rafforzato il suo ruolo di “dominus” del sistema bancario nazionale, imperniato sul controllo delle Fondazioni. L’ipotesi è l’aggregazione tra Pioneer (che a fine 2010 aveva 186 miliardi di attività in gestione) con Eurizon, la piattaforma di Intesa Sanpaolo forte di circa 170. Negli ultimi giorni ha raccolto il “tifo” esplicito di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo (grande azionista di Intesa) e dell’Acri, l’associazione cui aderiscono tutte le Fondazioni azioniste di Intesa e UniCredit. Gli enti sono i partner del Tesoro nella Cassa depositi e prestiti, la nuova “banca di sviluppo” al cui interno hanno già preso forma alcune Sgr orientate all’investimento immobiliare (social housing) e alla capitalizzazione delle Pmi.

 

La sponsorizzazione di Guzzetti lascia quindi intravedere i contorni di un’operazione-paese, per tutelare una storica “materia prima” italiana: il risparmio, ormai terra di conquista dei grandi gestori internazionali, difficilmente poi protesi a reinvestire i fondi raccolti in Piazza Affari o nell’Azienda. Pioneer-Eurizon appare invece, sulla carta, un “campione nazionale” come Amundi o Natixis: entrambe non del tutto sganciate dalle politiche pubbliche in campo creditizio. D’altro canto né UniCredit né Intesa Sanpaolo sarebbero prevedibilmente più azionisti di controllo: e in questo sarebbero comunque tenuti in considerazione i “desiderata” del Governatore della banca d’Italia, Mario Draghi, che raccomanda con forza da sempre una tendenziale separazione tra gestori e banche (a monte azioniste e a valle distributrici).

 

Alle spalle di Eurizon e Pioneer, Anima (Bpm) e Prima (Mps) hanno già realizzato una fusione nazionale che ha accentuato l’indipendenza della Sgr. L’occhio di Tremonti e l‘attenzione delle Fondazioni portano poi a non escludere combinazioni più estese per l’ipotesi Pioneer-Eurizon: ad esempio, con il gigante BancoPosta (14mila sportelli), controllato da Tesoro e Cdp. Mentre – problematiche antitrust a parte – altri gestori nazionali potrebbero essere smossi dal potente “drive” di un “progetto italiano dell’asset managemnet”: ad esempio, Arca, la Sgr consortile delle Popolari.

È pressoché certo che – se l’ipotesi dovesse maturare in progetto – si alzeranno voci polemiche, favorevoli a “lasciar fare il mercato” (cioè a lasciare che UniCredit venda all’incanto Pioneer all’estero), piuttosto che a costruire un’operazione “colbertiana” in cui lo Stato interviene nelle scelte di società quotate in settori strategici, recuperando “interessi nazionali”. Ma è su questi passaggi che si aggiustano gli equilibri tra Stato e mercato, tra cittadini-risparmiatori e banche, fra politica e imprese, fra diversi sistemi-paese.

 

Difficile, ad esempio, che a Tremonti e all’establishment bancario nazionale risulti poi così gradito che FonSai stia finendo di fatto sotto il controllo di Groupama. Mentre l’Azienda Francia si è già assicurata con Cariparma-Friuladria (del Credit Agricole) e Bnl (di Bnp) due solide teste di ponte sullo scacchiere italiano.