Troppo facile – quindi noioso, inutile – prendersela con black bloc & partners, gli “indignados che sbagliano”. Più complicato – quindi politicamente più stimolante – provare ad attaccare gli “indignados corretti”: non lanciando da dietro di loro bombe-carta o sampietrini verso la polizia, ma rilanciando verso la testa del loro corteo gli slogan dei loro striscioni-guida. Al solito, in questa noterella, nulla di personale: la faziosità è come sempre voluta e dialettica.
Ha notato il Nobel Paul Krugman che dieci anni fa tutti i giovani volevano andare a lavorare a Wall Street; oggi gli stessi giovani – quelli di oggi e gli ex di ieri – occupano Wall Street. È qualunquistico parlare di “invidia generazionale”, reale ma banale, storicamente improduttiva? È provocatorio declinare “l’indignazione” come rabbia per aver mancato di un soffio l’età dell’oro, le magie “più vere del vero” della New Economy? È reazionario avvertire la “generazione mille euro” che resterà conservatrice e gregaria finché rimarrà vincolata alla polemica sterile con i propri genitori che guadagnavano il doppio o il triplo? È cinico scuotere un po’ i liceali o gli universitari che hanno bivaccato davanti alla Banca d’Italia, accontentandosi poi che il Governatore Mario Draghi lisciasse loro il pelo con una frasetta distratta, in volo “from Goldman Sachs to Bce”?
I vostri veri avversari, i vostri “competitor” – cari indignados di tutto il mondo euro-americano – non sono i banchieri milionari vostri fratelli maggiori: sono i vostri coetanei indiani, brasiliani e cinesi. Scegliete voi: matematici da algoritmi Google che prima di volare a Mountain View guadagnano cento dollari al mese a Bombay. Addetti di call center che parlano l’italiano senza essere mai stati in Italia (a un dollaro al giorno). Ingegneri che copiano a menadito una Ferrari o i Rocher Ferrero in fabbriconi ottocenteschi. E volendo farvi scoppiare tra le gambe una piccola molotov culturale, cari indignados, a milioni di vostri “avversari” l’opportunità è stata data anche da quella finanza globale che infiniti peccati e reati ha commesso e che voi oggi vorreste bruciare nel rogo delle sue vanità e delle vostre frustrazioni. Ma di “avversari” ne avete anche in Italia: gente come voi che sabato non era in corteo con voi perché stavano lavorando, stava provando a lavorare a tutti costi, magari a meno di mille euro al mese.
Rigorosamente non autorizzato, parlo de ilsussidiario.net come “business case”. È un piccolo gruppo di giovani giornalisti professionisti: guadagnano meno di quanto guadagna un collega in una grande testata. Hanno scelto, da tre anni, la strada dell’innovazione più diretta e più competitiva nel settore media: solo web, dove tanti in passato hanno fallito e nessun big è finora veramente riuscito. Operano all’interno di un “business model” innovativo ma coerente: “private equity sussidiario”. Un gruppo di “investitori sussidiari” – raccolti attorno a una Fondazione – mette a disposizione una base di mezzi perché una struttura giornalistica professionale sviluppi un progetto editoriale: un “website” che racconti la politica, l’economia, la cultura in modo serio e credibile.
Ma ilsussidiario.net non è un house-organ: la sua sopravvivenza e i redditi di chi ci lavora sono agganciati al successo dell’iniziativa, non a un rifinanziamento periodico puro e semplice. Da un lato contano gli standard giornalistici che tengono agganciati – in via gratuita, “sussidiaria” – decine di protagonisti-testimoni della vita italiana. Dall’altro conta la performance sul mercato: i contatti in rete che consentono la ricerca sul mercato pubblicitario di ricavi in grado di contribuire al sostenimento di costi di struttura e nuovi investimenti. Il tutto guarda sempre a “investitori sussidiari” vecchi e nuovi: i primi devono essere soddisfatti nelle loro aspettative, i secondi devono essere attratti dallo sviluppo del progetto.
Di “business case” come ilsussidiario.net – fortunatamente – in Italia/Europa ce ne sono migliaia, molte migliaia. Alcuni avranno successo, altri no: ma i primi – se terranno alcuni fondamentali della civiltà europea – aiuteranno i secondi. E solo avendo successo assieme, cari indignados, potrete applicherete alla “finanza che ha sbagliato” tutte le sanzioni che merita.
Tra i tanti proverbi cinici della City di Londra uno recita: “C’è un solo crimine più grave che rapinare una banca: fondarne una”. Fondate la vostra banca, il vostro giornale, la vostra impresa, cari “indignados”: fate competizione alla Goldman Sachs, a NewsCorp, ai vostri fratelli maggiori e ai vostri genitori finché saranno loro ad arrabbiarsi con voi, a battere i pugni contro i vostri portoni. Se siete davvero bravi, fatelo sul loro terreno, ma con le regole che dite di voler cambiare: se ce n’è davvero bisogno (chi modestamente scrive pensa di sì), il mercato economico e politico vi darà ragione. E lavorate anche al sabato e alla domenica: sapendo che dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina i banchieri fanno “trikend” (e questo ha già segnato la loro condanna sociale, prima che legale), mentre in Cina i vostri coetanei si danno da fare per molto meno di mille euro al mese. E piuttosto che chiedere ai vostri genitori com’era bella l’Italia degli anni Sessanta, chiedete ai vostri nonni come affrontarono il “new-new normal” nel maggio del 1945.