«Forse, per una volta, si potrebbe pure dar torto agli indignati di casa nostra e d’Oltreoceano». Lo scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera, anche se in pagina interna, in basso a sinistra: “Idee & opinioni” diverse dalla linea editoriale, secondo i codici cifrati del giornalismo. Fatto sta che – aggettivo in più, avverbio in meno – è lo stesso punto di vista espresso lunedì mattina sul ilSussidiario.net. Ancora (e di più): è uno dei giudizi impliciti nel documento di lavoro “La crisi, sfida per un cambiamento” diffuso da Comunione e Liberazione al termine di una settimana politicamente impegnativa, contraddistinta da un netto cambio di passo da parte del mondo cattolico, al di là del consulto di Todi. Prima di Polito, sul Sussidiario avevamo sostenuto l’opportunità politico-culturale di trascurare gli “er pelliccia” e il loro para-terrorismo del sabato pomeriggio e di focalizzare il «confronto» – non il «dialogo» – sugli indignados «corretti»: rivoluzionari immaginari, emarginati reali soprattutto da un conformismo sterile (capace solo di accuse e disperazione, sottolinea Cl). Lo sviluppo politicista dell’analisi di Polito è però molto diverso. Gli “indignados” italiani sbaglierebbero – e sbaglierebbe la sinistra che li rincorre ossessivamente – perché non si renderebbero conto di essere in realtà “di destra”: di essere superficialmente vicini ai (presunti) “radical” di Occupy Wall Street, ma strutturalmente consonanti con i Tea Party. Di essere cioè ultra-liberisti più ideologici e arrabbiati dei neo-liberisti ortodossi nel chiedere il fallimento e quindi la “punizione di mercato” del turbo capitalismo-finanziario. Con un ulteriore passo dialettico – abile ma altrettanto discutibile – Polito arruola infine gli “indignados” italiani tra le file dei neo-antieuropei che preferirebbero un “sano” default dell’Italia ai richiami della Bce di Mario Draghi al governo Berlusconi affinché si varino le varie misure di risanamento finanziario e di rilancio dell’economia (questo, caro Polito, è decisamente troppo: molti dei nostri guai discendono più dagli errori dei banchieri come Draghi e dei loro mercati iperspeculativi che dei governanti come Berlusconi o come lo stesso Obama).
Comunque: «la sinistra» (scilicet: la «parte buona del Paese», naturalmente chiamata a riparare ai disastri del ventennio berlusconiano) non deve rincorrere i movimenti perché – pur inconsapevoli – vorrebbero applicare fino in fondo la ricetta del merito e della responsabilità e perché di fatto non permettono all’Europa tecnocratica di Draghi di «mettere ordine» in Italia. Analisi politicista: diametralmente opposta a quella che muove una critica antropologica e sociale agli indignados, anzitutto perché umiliano se stessi nel ruolo di peones virtuali, che vorrebbero assaltare le Bastiglie delle banche centrali o delle investment bank, ma non lo faranno mai e tutti lo sanno. Chi sta da tempo muovendo “concorrenza” (“guerra” non si dice più) all’Euramerica non sta mangiando brioches a Roma o a Francoforte: sta lavorando il doppio e meglio molto lontano. E’ con loro che ci si deve confrontare, tuffandosi nelle acque gelide e turbolente della crisi e imparando a galleggiarvi e poi a nuotarvi. E’ questo, non da ultimo, l’unico modo per togliersi lo sfizio – forse, in futuro – di mettere in crisi chi l’ha crisi la provocata.