Sovra-prelievo sui capitali rientrati “sotto scudo” dalla Svizzera e da altri paradisi fiscali, garanzia pubblica sul risparmio depositato in banca e adesione italiana alla Tobin tax: difficilmente – in occasione della super-manovra “salva-Italia” – si potrà accusare il Premier Mario Monti di essere un “agente della Goldman Sachs”, un banchiere internazionale travestito da tecnocrate pubblico. Anche il decreto varato ieri sera dal governo tecnico andrà letto con attenzione una volta stampato in Gazzetta Ufficiale: ma – anche per quanto concerne l’area critica del sistema finanziario – le sue linee sono tracciate. La novità più rilevante – non completamente inattesa – è l’ulteriore tassazione dei capitali “scudati”. È un passo di forte impatto mediatico, politicamente aggressivo e forse perfino giuridicamente azzardato: sarà infatti prevedibilmente oggetto di roventi discussioni in Parlamento e probabilmente anche di controversie legali. È lecito cambiare a posteriori le condizioni di un “concordato” con cittadini-contribuenti cui si è offerto di legalizzare la loro situazione patrimoniale?
Era certamente una strada che il precedente ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non poteva percorrere: rimettere in discussione l’operazione – sulla sua parola istituzionale – che dal 15 settembre 2009 al 30 aprile 2010 ha fatto rientrare in Italia 104,5 miliardi di euro con la garanzia dell’anonimato dietro il versamento aggregato di 5,6 miliardi. Ora la “commissione di rientro conciliatorio” aumenta l’imposta di un altro 1,5% (1,5 miliardi complessivi): saranno forti gli “strilli” di alcuni, ma ancora più fragorosi gli applausi per un intervento “contro i ricchi”. Una patrimoniale anomala, assai poco “professorale”, addirittura un pizzico demagogica, ma di sicuro effetto: soprattutto per bilanciare sul piano politico le lacrime che il ministro Fornero ha letteralmente versato per prima annunciando una durissima riforma previdenziale.
Ma le cannonate lanciate – a scoppio ritardato ma senza preavviso – alla frontiera svizzera, non sembrano tuttavia semplici fuochi d’artificio. Preannunciano invece – probabilmente in tempi brevi – un accordo fiscale strutturale, fotocopiato su quelli stipulati in estate tra la Confederazione, la Germania e la Gran Bretagna. Il succo è noto: per un britannico o un tedesco detenere capitali in Svizzera diventa legale, ma in condizioni di neutralità fiscale e di “anonimato regolato”. L’esatto contrario dell’approccio “talebano” di Tremonti: il quale, peraltro, mirava più al rientro dei capitali (anche in funzione di sottoscrizione del debito pubblico nazionale) che di normalizzazione del gettito fiscale.
Fin dalla “sovrattassa postuma” decisa ieri sera, in ogni caso, portare i quattrini in Svizzera diventa meno attraente: rimangono l’effetto “disponibilità anonima” (ma in forma tendenzialmente attenuata) oltre alle capacità di “private banking” degli “gnomi”, che però alla prova della crisi finanziaria non si sono mostrate all’altezza della loro fama. Diventa invece più sicuro “tenere i soldi in banca”, anzi: tenerli nelle banche italiane. Il provvedimento preannunciato ieri sera andrà esaminato nei dettagli e assomiglia più a un “airbag” offerto dal Governo al sistema creditizio in caso di incidenti improbabili ma non impossibili a priori. Lo fece la Germania nel 2008, mentre allora il governo Berlusconi fu solo marginalmente assillato da problemi di solidità del sistema: anche il ricorso ai “Tremonti-bond” per rafforzare i patrimoni delle banche (lo fecero Mps, Banco Popolare e Bpm) fu poco più che simbolico.
Tuttavia, i circuiti interbancari non sono mai guariti del tutto dalla crisi di fiducia che rende sempre difficile la provvista di liquidità: e la “garanzia di firma” offerta dallo Stato – soprattutto sulle obbligazioni bancarie – non potrà che aiutare il loro piazzamento presso la clientela (anche se resta ovviamente il problema contingente della concorrenza dei titoli di Stato con rendimenti record). Su un orizzonte più ampio, la garanzia pubblica è una forma di statalismo “soft” rispetto a interventi più radicali che non cessano di punteggiare il mercato europeo: dopo il fallimento e la nazionalizzazione della franco-belga Dexia, in Germania diventano più forti le voci di salvataggio pubblico di Commerzbank. (Diventa in ogni caso meno improbabile l’attivazione di possibili meccanismi di garanzia – ad esempio da parte della Cassa depositi e prestiti – per le Fondazioni azioniste di grandi gruppi e impegnate in ricapitalizzazioni che richiedono l’indebitamento dell’ente).
Squisitamente politico, ma non puramente simbolico è l’annuncio che l’Italia appoggia Francia e Germania nel chiedere la “Tobin tax”. Il prelievo sulle transazioni finanziarie – fortemente avversato dalla Gran Bretagna e dalle lobby bancarie globali – mira da un lato a ri-tamponare un po’ i salassi pubblici per salvare le banche; dall’altro a frenare la speculazione, con un effetto punitivo di quel sistema bancario “di mercato” che riscuote un’ostilità crescente da parte di governanti e opinioni pubbliche. Anche su questo terreno Monti (l’uomo delle battaglie contro Ge e Microsoft all’Antitrust Ue) pare muoversi in modo sofisticato: da un lato dando voce al malumore di un’Azienda-Italia abbastanza compatta contro le “locuste dello spread”; dall’altro creando spazi negoziali nel duro confronto con Germania e Francia sulle regole bancarie.
PS: La nuova tagliola a mille euro della tracciabilità dei pagamenti allarga ulteriormente il mercato degli strumenti di pagamento elettronici. Il vice-ministro Vittorio Grilli, ieri sera, si è subito premurato di annunciare che lo stimolo a usare di più carte di pagamento, credito e debito non deve assicurare rendite ai gestori dei circuiti, ma inserirsi anzi in una maggior dinamica concorrenziale del settore (che sarà decisivo, tra l’altro, anche per lo sviluppo di molti business multimediali legati ai micropagamenti online). Non è affatto un dettaglio della manovra “anti-evasione”: andrà seguito attentamente.