Quali imprese italiane saranno poste sotto l’ombrello della “no-Opa zone” preannunciata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti? Tutte le banche e le loro ramificazioni (come Pioneer, maggior asset manager nazionale)? Tutte le assicurazioni, a cominciare da Generali e FonSai? Eni e Enel, già parzialmente protette dal controllo statale maggioritario? Edison, con tutte le utilities locali quotate (A2A, Iride, ecc.)? Telecom, in bilico tra banche italiane e Telefonica? Un’industria strategica per eccellenza come Finmeccanica? Le Autostrade, di cui quattro anni fa il governo Prodi bloccò la vendita già quasi conclusa dai Benetton e partner a beneficio degli spagnoli di Abertis? Assieme a Parmalat, entreranno nella lista degli “intoccabili” anche marchi non quotati del made in Italy? Saranno considerati “patrimonio nazionale” anche i grandi gruppi “media” (a cominciare da quello del premier Silvio Berlusconi)?
Quel che è certo è che la primavera del 2011 – per molte ragioni oscura e turbolenta – sembra spegnere per davvero in Italia le mille luci del ventennio delle privatizzazioni, delle fusioni e delle acquisizioni, troppo spesso segnate . nell’esito ultimo – dalla dipartita di imprese “d’interesse nazionale” dall’Azienda Italia.
Bnl (a Bnp) e CariParma (a Credit Agricole) sono i pezzi pregiati del sistema bancario ceduti al sistema-Francia. Tra gli operatori tlc, Omnitel è stata vendita da Olivetti alla britannica Vodafone (per finanziare l’Opa Telecom) e Wind da Enel all’araba Orascom e ora alla russa Vimpelcom, cui si è poi aggiunta Fastweb (a Swisscom). Fiat, a rigore, era già stata destinata alla Corporate-America assai prima del piano Marchionne su Chrysler ai tempi dell’accordo con GM, quando ancora era vivo Gianni Agnelli. Mediobanca e Generali furono “salvate” dall’auto-scalata interna a favore dei soci francesi solo da una “controscalata nazionale” guidata dalla Banca d’Italia di Antonio Fazio, oggi sotto processo per essersi opposto anni dopo alle due Opa estere del Bbva su Bnl e di Abn Amro su Antonveneta.
Al netto dell’acquisizione di Endesa da parte di Enel, il bilancio dei tentativi in direzione opposta è assai povero: quella tra UniCredit e la tedesca Hvb è stata una fusione alla pari. E l’uscita di scena di Alessandro Profumo è stata sostanzialmente legata al controverso ingresso nell’azionariato delle entità sovrane libiche, le cui partecipazioni in Italia sono state ufficialmente congelate proprio ieri.
Dall’assalto di Pirelli a Continental fino all’Opa fallita da Generali su Agf (e il presidente del Leone era il francese Bernheim), l’Azienda-Italia ha sempre trovato porte chiuse: anche in quella Eurolandia che – formalmente – rappresenta ormai da tempo uno spazio economico-finanziario integrato. Invece, sulla penisola ha sempre soffiato forte il “vento del Britannia”, lo spirito di quella presentazione che la Goldman Sachs fece agli investitori internazionali dei “gioielli” dell’economia mista italiana: dalle banche (Comit, Credit, Bnl, Imi) all’Ina, da Telecom a Eni ed Enel.
Sotto la regia di Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, alla direzione generale del Tesoro, fu tutto venduto in Borsa: con il vincolo di sanare i conti pubblici in vista dell’euro, creando l’opportunità di scalate (come la madre di tutte le Opa a Telecom) o controscalate, ovviamente aperte ai raid internazionali.
Era in parte scritto che la lunga “exit” dalla crisi avrebbe portato a una ripresa dell’M&A internazionale e che perfino l’attivismo dei “fondi sovrani pigliatutto” sarebbe stato superato. L’offerta di Lvmh su Bulgari è schiettamente “industriale” non meno del tentativo di Edf di forzare lo status quo paritario in Edison, dell’ingresso di Groupama in FonSai (bloccato dalla Consob che imponeva un’onerosa doppia scalata), dell’interesse di Amundi per Pioneer e non meno – non da ultimo – delle schermaglie in Generali dei soci francesi (dietro cui è sempre visibile la sagoma di Axa).
È a questo punto che Tremonti – antimercatista impegnato a rafforzare velocemente veicoli come Cassa depositi e prestiti e Banca del Sud – passa all’azione senza farsi troppo pregare. Gli interventi ormai delineati di UniCredit a supporto di FonSai e di Intesa Sanpaolo a sostegno dell’italianità di Parmalat sono significativi in sé, ancor prima che vengano varate normative anti-scalata ostile estera (del resto messe in agenda perfino in Gran Bretagna). UniCredit e Intesa sono i “campioni nazionali” presidiati dalle Fondazioni e la loro “strategicità di base” viene ancora più enfatizzata: e aumentano le incognite sulle veloci ricapitalizzazioni chieste a gran voce dal Governatore Mario Draghi.
È ragionevole diluire il peso delle Fondazioni e favorire l’ingresso di altri soggetti esteri solo per allinearsi il più in fretta possibile ai parametri di Basilea 3? In ogni caso, il Governo la pensa diversamente ed è Tremonti a fare da pivot per i leader di grandi banche e grandi Fondazioni.
Resta certamente da capire come possa invece giocare in questo orizzonte il “fenomeno Della Valle”: un imprenditore dotato di capitali propri e apparentemente disposto a giocarli nel controllo di grandi realtà come Mediobanca, Generali o altro. Uno, dieci, cento Della Valle al tramonto del ventennio del premier-imprenditore? Di certo – ha sentenziato anche Il Sole 24 Ore in un commento domenicale -, il capitalismo finanziario italiano è per ora tornato bancocentrico (e parecchio dirigista): se mai è stato diverso e se anche non piace agli entusiasti della finanza globale, ormai già quasi rivestiti dei panni dei nostalgici.