Al riparo della settimana semifestiva che da Pasqua sta conducendo al Primo maggio, la Procura di Torino, guidata da Giancarlo Caselli, sta maturando una decisione niente affatto burocratica: presentare o no ricorso (in Appello o direttamente in Cassazione, terreno giurisdizionale tendenzialmente più neutro) contro la recente assoluzione di Exor e dei due attempati moschettieri dell’Avvocato Agnelli – Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens – per il controverso equity swap Fiat del 2005.



Poco più di un mese fa il Tribunale di Torino ha depositato le motivazioni della sentenza con cui – lo scorso 21 dicembre – il collegio presieduto da Giuseppe Casalbore aveva respinto la richieste di condanna del pm Giancarlo Avenati Bassi: 2 anni per il presidente onorario di Exor (la holding della famiglia Agnelli, oggi guidata personalmente da John Elkann) e 2 anni e 6 mesi per il legale più vicino alla famiglia e alla Fiat. L’ipotesi di reato era aggiotaggio informativo e riguardava un comunicato emesso da Exor il 24 agosto del 2005, in cui si negava alla Consob (e alla Borsa) che vi fossero novità sull’esito imminente del “convertendo” Fiat: il prestito obbligazionario con cui le grandi banche italiane avevano salvato il Lingotto nel 2002, sotto la regia della Banca d’Italia di Antonio Fazio.



Il comunicato era certamente “falso” – hanno riconosciuto anche le motivazioni della sentenza – perché Exor aveva nel frattempo predisposto con Merrill Lynch un’operazione di finanza strutturata (l’equity swap) che di lì a poche settimane avrebbe consentito agli Agnelli di riagguantare il controllo di Fiat nonostante la diluizione legata alla conversione automatica in azioni dei bond detenuti dalle banche. Il comportamento di Exor – pesantemente sanzionato dalla Consob in via amministrativa – non è stato però ritenuto meritevole di condanna penale dai giudici di primo grado di Torino: con la motivazione che – per quanto il titolo Fiat fosse stato oggetto di sbalzi del tutto anomali al listino nei giorni precedenti il comunicato – la nota Exor (falsa) non aveva successivamente prodotto reazioni significative.



Una conferma ulteriore – per giuristi e operatori di mercato – che l’aggiotaggio o l’insider trading rimangono “reati diabolici”: come del resto ha sperimentato negli ultimi giorni la Procura di Milano, sconfitta in un processo contro quattro grandi banche internazionali per il crack Parmalat. Davvero difficile dimostrare in concreto che una manipolazione informativa si sia effettivamente tradotta in un’alterazione dei prezzi e infine in un illecito profitto finanziario.

Ma non è certo l’aspettativa di puntate ulteriori nei massimari giuridici ad alimentare l’attesa per il (non improbabile) ricorso della Procura torinese. Una vicenda processuale – inevitabilmente – finisce per assumere profili autonomi, sganciati dal loro spazio/tempo originario. La Fiat non è più quella del 2005, ancora in fondo protetta dal lutto per la scomparsa dell’Avvocato: oggi è quella di Marchionne l’americano, il liquidatore del Lingotto e di Pomigliano, il ristrutturatore globale assoldato da Obama per salvare la Chrysler con la Fiat, non viceversa. E Marchionne, non è, alla resa dei conti, il beniamino di un’Azienda-Italia che sta imboccando altre strade: quella degli “interessi nazionali”, delle banche che salvano le imprese che trasformano il latte degli allevatori padani; non le famiglie (parecchio decadute) del grande capitale.

Le banche stesse e le Borse sono sideralmente differenti da quelle di metà “anni zero”, gonfiate dalle ultime bolle: dopo il crack Lehman l’atteggiamento verso chi mente e specula violando le regole sui mercati finanziari è molto più severo. È una magistratura “diversa” anche quella torinese, per quanto guidata da un volto stagionatissimo come quello di Caselli. Ma è un palazzo che ha condannato duramente l’amministratore delegato di Thyssen Italia, giudicato senza troppi giri di parole o codicilli l’omicida di sette operai. Non da ultimo: anche la politica sta fibrillando ed eternamente pronto a “scendere in campo” c’è il presidente della Fiat “all’epoca dei fatti Exor”, Luca Cordero di Montezemolo.

Può darsi che il ricorso della Procura torinese non arrivi o inneschi solo un procedimento anonimo, da addetti ai lavori. Ma nell’Italia degli anni Dieci il riaccertamento della “verità giudiziaria” potrebbe ancora rivelarsi – secondo il celebre detto mussoliniano – un processo alle responsabilità “politiche, storiche e morali” del contrastato tramonto della maggiore dinastia imprenditoriale dell’Italia contemporanea.