Margaret Thatcher – la più grande rivoluzionaria liberale dell’era contemporanea – salì sulle sue barricate togliendo un bicchiere di latte agli scolari britannici. Silvio Berlusconi – che ha avuto a disposizione un quarto della storia repubblicana d’Italia per realizzare una rivoluzione liberale – rischia di scendere per sempre dai suoi predellini togliendo i bidoni di latte agli allevatori della pianura Padana fornitori di Parmalat.



Non che l’Opa di Lactalis – ineccepibile nella forma finanziaria e della sostanza imprenditoriale – sia colpa delle negligenze del Cavaliere: che resta di gran lunga il primo imprenditore del Paese e che in quella veste l’opportunità del risanamento-rilancio del gruppi di Collecchio le avrebbe sapute trarre a dovere. Ed è vero che le responsabilità principali sono di un establishment imprenditoriale italiano strutturalmente incapace di misurarsi con la grande dimensione del capitalismo finanziario e manageriale (da Fiat a Telecom).



E se Luca di Montezemolo si limita a fare da “pr” di lusso per la pre-vendita dell’Alta Velocità privata italiana alle ferrovie francesi, la stessa “Mediobanca 2.0” di Alberto Nagel ha perso la sua battaglia di “patron” della “Parmalat 2.0” del fido Enrico Bondi. Ma del resto chi ha aperto le porte a Parigi (su Generali o Edison) se non Piazzetta Cuccia?

Perde d’altronde ai punti anche Giulio Tremonti, che pure attorno alla difesa statalista e bancocentrica di Parmalat aveva abbozzato una strategia e compiuto passi strutturali: rilanciando la Cassa depositi e prestiti e i fondi strategici pubblico-privati come nuovo baricentro della finanza d’impresa dell’Azienda-Italia. Ma il tramonto “neroniano” di Berlusconi ha travolto anche questo raro pezzo di politica in quest’Italia di metà 2011.



E così Nicolas Sarkozy, l’ex avvocato parigino di Berlusconi, ha potuto affrontare il vertice italo-francese annunciando un’Opa schiaffo che il sistema-Paese non meritava e stava provando a evitare. Ma per il Cavaliere, evidentemente, è più importante uscire dall’apartheid internazionale cui si è condannato negli ultimi mesi. È più importante regolare conti da caduta del regime, costi anche il declassamento dell’Italia a Paese subalterno in Europa: a terra di razzia finanziaria e a semplice base militare offshore per le guerre neo-coloniali della stessa Francia contro una Libia ricca di interessi e investimenti italiani.

Ora la Lega si ribella, ma l’unica opzione è dimostrare di essere una forza di governo autonoma e di non temere i pozzi avvelenati all’ultima ora da un Berlusconi forse attratto da “piccole coalizioni” al centro. Nel frattempo, il tardo-berlusconismo ha (forse) incassato il via libera francese alla candidatura di Mario Draghi alla presidenza Bce. Speriamo sia davvero una buona notizia.

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