Gianni Credit sull’“armistizio obbligato” in Generali si è sbagliato di grosso e si sente in dovere di ammetterlo subito con i suoi venticinque lettori-amici Si sente peraltro in buona compagnia: Cesare Geronzi, il presidente bruscamente dimissionato, era probabilmente il primo a non attendersi un esito così traumatico dello scontro al vertice del Leone.



Cos’è accaduto? Le risposte, in vicende come queste, raramente possono essere elaborate in tempo reale e in forma chiara e distinta. Nella “noterella” di lunedì mattina segnalavamo sullo sfondo del caso Generali il confronto ormai strutturale (politico, ma anche di establishment e perfino di “blocco sociale”) tra le due ali del centrodestra; il declinante “partito romano” capeggiato da Gianni Letta e l’emergentissimo “partito del Nord”, popolato di grandi banche (anche Mediobanca) e Fondazioni, sostenuto dal ceto imprenditoriale leghista sotto la leadership istituzionale di Giulio Tremonti.



Non a caso, a Geronzi è venuto meno – forse in maniera decisiva – anche il supporto di Mario Draghi, super-governatore della Banca d’Italia nonché secondo azionista di Generali. Pochi giorni fa aveva lasciato che Geronzi si sedesse vicino a lui al pranzo del Forex veronese, pochi mesi fa i due erano commensali sulla terrazza romana di Bruno Vespa: ieri Draghi ha preferito voltarsi dall’altra parte, mentre personaggi come Diego Della Valle e Fabrizio Palenzona hanno spinto e sostenuto i manager di Mediobanca e Generali nella spallata.

La “cacciata” del presidente delle Generali (formalmente senza deleghe) è peraltro un classico: è accaduto a prestigiosi manager interni come Alfonso Desiata e – ultimamente – anche a un nobile corsaro della finanza internazionale come Antoine Bernheim. Mai si è trattato di guerricciole personali o di incidenti casuali: sempre il ricambio brusco al vertice del Leone ha segnato cambi di stagione, sterzate strategiche, sommovimenti importanti sullo scacchiere finanziario.



È assai probabile che Geronzi abbia pagato non tanto una gestione disinvolta della comunicazione della compagnia, ma la sua scommessa definitiva: il progetto di sganciamento delle Generali da Mediobanca con il ritiro dei soci francesi da Piazzetta Cuccia e l’investimento massiccio nel Leone (presumibilmente con l’appoggio di Fininvest e Mediolanum). E non è da escludere che già si trattasse di un “piano B”, dopo il progressivo naufragio della scalata libica a UniCredit con la cacciata di Alessandro Profumo e poi il crollo del regime di Gheddafi.

L’integrazione della filiera UniCredit-Mediobanca-Generali sarebbe stata un “grande slam” e forse era ardita già nelle premesse. La francesizzazione delle Generali – sotto la garanzia istituzionale di Silvio Berlusconi e operativa di Geronzi – forse ancora a fine 2010 non appariva invece irrealizzabile. Ed è in fondo una nemesi che Geronzi getti la spugna quando il sistema-Italia si sta affannando a difendere dalle mire d’Oltralpe Parmalat, la società rinata dal crack per il quale l’ex presidente di Capitalia è sotto processo.