Non è stato affatto sorprendente che Il Corriere della Sera – su una prima pagina concitata come quella di ieri mattina – abbia ospitato un intervento di Maurizio Ferrera che invita a cercare negli «investimenti sociali» la via di una crescita «cui basta anche poco». Un articolo che, d’altronde, suggerisce l’istituzione di una «Authority indipendente per la spesa sociale».

L’analisi del politologo “liberal” dell’Università di Milano non è troppo distante da alcune riflessioni dell’editoriale de ilsussidiario.net, sempre di ieri mattina. Vincere la crisi non significa resistere alla speculazione dei mercati, viceversa: un sistema-paese sano e vitale (dentro un sistema europeo funzionante) non teme gli gnomi-corsari. Ma il “buon governo” fiscale – uno dei presupposti della salute socioeconomica – si misura alla fine assai più attraverso l’efficienza e la qualità della spesa che guardando alla capacità di pressione tributaria.

«Nell’ultimo decennio – scrive Ferrera – l’imponente calo degli interessi sul debito (il dividendo dell’euro) è stato quasi interamente assorbito da sanità e protezione sociale. Nulla è andato a istruzione e ricerca, per le quali spendiamo fra uno e due punti di Pil in meno dei paesi virtuosi. A peggiorare le cose sta il fatto che il nostro welfare non fa “investimenti sociali”: asili, formazione, inserimento al lavoro, sostegni all’occupazione giovanile e femminile, casa, famiglia, lotta all’esclusione, invecchiamento attivo».

Forse sarebbe bastata la sola parola «sussidiarietà», tra l’altro citata sia dalla Costituzione italiana che in quella dell’Unione europea. Non riteniamo tuttavia che l’editorialista del Corriere abbia voluto far torto – tanto meno ideologico – al lavoro di promozione culturale che da otto anni svolge la Fondazione che edita ilsussidiario.net.

Senz’altro più discutibile appare invece – nel merito – lo sviluppo che Ferrera imprime al suo “focus” in termini di proposta politico-istituzionale. «È almeno un decennio che parliamo di rimodulare il welfare, ma in realtà ci siamo limitati a una manutenzione dell’esistente. La politica italiana non sembra capace di fare di più. C’è un modo di uscire dal vicolo cieco? In altri paesi le scelte strategiche della politica economica e sociale sono definite dai governi in collaborazione con organismi indipendenti, che poi valutano azioni e risultati. […] Quale potrebbe essere il profilo di una nuova “autorità” a promozione e tutela degli investimenti sociali e della crescita inclusiva? Sul nome e le funzioni c’è tempo per discutere».

No, professor Ferrera, con tutto il rispetto per la sua voce, non c’è tempo, e soprattutto non c’è bisogno di discutere “nome e funzioni (e presidenza, organico, sede e budget)” di una nuova “Authority (o Ente, o addirittura Ministero) per la Sussidiarietà”. Il welfare di cui lei (giustamente) denuncia il fallimento, è nato ed è crollato così: con la pretesa (intellettualmente e politicamente tutta novecentesca) che lo Stato fiscale fosse l’unico demiurgo e che – unica deroga – il Mercato delle élites avesse diritto ad autogestire i propri oligopoli attraverso “autorità indipendenti” (dalle burocrazie, ma anche dalle democrazie).

L’invocato “nuovo welfare” non può ripartire dallo stesso centralismo statalista, dalla medesima unidimensionalità di intervento politico (prelevare e redistribuire quattrini, soprattutto se questi non ci sono più). La sussidiarietà è una dimensione politica evoluta che guarda alle energie della società, non alla meccanica delle istituzioni. È una “politica 2.0” che cerca risorse “non numerarie” non nelle tasche dei contribuenti, ma nelle teste dei cittadini. E prova a creare “diversamente” valori aggiunti attraverso “corpi intermedi” che lavorano in orizzontale, non in verticale. (Last but not the least: la sussidiarietà non l’ha inventata «l’Olanda negli anni ‘80»; e neppure David Cameron per vincere le elezioni britanniche nel 2010).