L’Antitrust torna a sollecitare lo scorporo effettivo del BancoPosta, mentre la Cassa depositi e prestiti, principale utente del risparmio postale, affronta un delicato passaggio politico-finanziario: il consolidamento degli assetti proprietari imperniati sulla presenza delle Fondazioni di origine bancaria a fianco del Tesoro. Sullo sfondo incombono lo sviluppo dell’Unione bancaria in Europa (con il cambiamento della vigilanza creditizia nell’eurozona e nei singoli paesi) e il riassetto dei singoli sistemi finanziari nazionali dopo la crisi. Nel frattempo si approssimano le elezioni politiche che in Italia (non diversamente dagli Usa o dalla Germania fra un anno) vedranno la “questione bancaria” in cima alle agende e al dibattito.

Il dossier è molto intricato e certamente non aiuta il clima di sospetti creatosi attorno al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, oggetto di rivelazioni nell’inchiesta Finmeccanica e di intercettazioni in quella che ha portato alla custodia cautelare l’ex presidente della Bpm, Massimo Ponzellini. Il Tesoro è l’azionista istituzionale delle Poste e della Cdp (70%), nonché il vigilante delle Fondazioni con le quali proprio Grilli sta trattando le modalità di conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate del 30% della Cassa. Gli enti dovrebbero versare un conguaglio al Tesoro, ma non considerano corretta la richiesta di 4 miliardi, tenuto conto anche che il miliardo di investimento effettuato nel 2004 fu pressoché imposto dall’allora ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, dovendo l’Italia completare rapidamente una manovra di ridislocazione di asset e debiti pubblici per rientrare in alcuni parametri europei.

D’altra parte le Fondazioni potrebbero anche uscire dall’investimento con plusvalenza, obbligando il Tesoro a un esborso. È vero, d’altronde, che l’investimento ha consentito agli enti di ottenere un rendimento interessante e garantito e di avviare iniziative (come i fondi nell’edilizia sociale) che solo un partner come la Cdp poteva consentire. Più in generale la Cassa joint-venture è via via divenuta una leva strategica che sta assumendo rilevanza ai fini della ripresa: basti pensare al fondo F2i, candidato ora a rilevare l’infrastruttura-rete di Telecom; o al Fondo strategico italiano, che potrebbe entrare in gioco nel mantenimento dell’italianità di Ansaldo.

È un quadro – quello di una Cdp “banca statale di sviluppo” – che ovviamente fa arricciare molti nasi: anche tenuto conto dei 400 miliardi di risparmio che il BancoPosta (di fatto controllato da Tesoro e Cdp) pompa a favore della Cassa. Dietro l’ennesimo monito dell’Antitrust – formalmente ineccepibile – si percepisce chiaramente il malumore strutturale del sistema bancario, che vede il BancoPosta come un concorrente sgradito: soprattutto allorché la solidità e l’immagine del BancoPosta (14mila sportelli) sono state sempre più al riparo di quella delle banche, sotto l’urto della crisi.

Le aziende bancarie, fra l’altro, sono sotto accusa non solo per la problematica tutela del risparmio, ma soprattutto per la vera o presunta stretta creditizia verso le imprese. Proprio la Cdp – invece – con l’aiuto del BancoPosta è stata chiamata dal Tesoro a sostenere una serie di iniziative per alleggerire le tensioni finanziarie presso famiglie e imprese (ad esempio, nei mutui). È chiaro che la stessa Banca d’Italia gradirebbe che BancoPosta-Cdp diventassero un gruppo bancario a tutti gli effetti: soggetto quindi alla piena vigilanza di Via Nazionale, cui la Bce in tempi non lunghi toglierà la supervisione sui due giganti “sistemici” UniCredit e Intesa Sanpaolo. Un polo BancoPosta-Cdp a proprietà attuale?

È ben comprensibile che i commentatori liberisti in servizio permanente stanno riaffilando le armi contro le Fondazioni. Ma quale sarebbe l’alternativa? Una privatizzazione sul mercato è fuori discussione. E la stessa esperienza europea insegna che se proprio uno Stato non vuole mantenere il postal banking in un “suo” polo bancario (Francia, con la Cdc), lo usa per rafforzare parti del mercato bancario domestico: in Germania Postbank è stata rilevata da Deutsche Bank.

Di certo, quella del risparmio postale italiano è una partita che sarebbe pericolosissimo lasciare attrarre nel vortice pre-elettorale.