Mario Mauro è l’unico europarlamentare italiano che sta intervenendo in prima persona nell’avvio della campagna elettorale. L’ottantenne Luigi Berlinguer è stato garante delle primarie Pd: ma né Pierluigi Bersani, né Matteo Renzi, né Nichi Vendola, nei loro ripetuti duelli, hanno parlato molto di Italia e Ue al fuori di battute schematiche. Vendola si ritrova candidato “in pectore” a un commissariato Ue, ma solo come momento di “scambio” per l’appoggio a Bersani nel ballottaggio con Renzi . Il sindaco di Firenze ha sempre lasciato che si sottolineassero i suoi legami – ideali e personali – con il mondo americano. E Bersani ha compiuto il suo primo viaggio da candidato premier in Libia: sulle orme di Berlusconi, là dove peraltro l’Europa (ormai quella di ieri) ha mostrato i suoi limiti. Non c’è comunque di che stupirsi: il Pd è confluito solo nel 2009 nel percorso del Pse (cioè del Ps francese e della Spd tedesca). E il “sinistra-centro” odierno non è alla fine molto più europeista di Silvio Berlusconi o della Lega Nord, fra letture tattiche degli umori dell’elettorato e fondamentali politico-valoriali.
In Italia – pur per motivi comprensibili e non banali – l’Europa resta quella dei tecnocrati e delle lettere-diktat sull’austerità fiscale e previdenziale: non il luogo politico-economico nel quale tutti gli italiani si ritrovano all’uscita della crisi globale, in un pianeta in cui la “democrazia sociale (sussidiaria) di mercato” non è più un modello prevalente, ma ormai in competizione orizzontale con altri.
Mauro è un politico italiano che, fin dall’esordio, ha svolto esclusivamente a Strasburgo il suo impegno di rappresentante istituzionale democraticamente eletto. L’Europarlamento per lui è stata una scelta, non un ripiego o un parcheggio. Da lì ha osservato e vissuto la crisi italiana – dentro la crisi europea – da un punto di vista specifico: diverso, complementare, concorrente rispetto a quello di un Bersani, di un Renzi, di un Berlusconi, di un Casini (o di un Montezemolo), perfino di un Monti o di un Draghi.
Dell’euro-parlamento Mauro è stato vicepresidente e candidato-presidente: e la pressione della crisi economico-finanziaria ha fatto molto crescere il ruolo di Strasburgo. Il Parlamento sta diventando un test concreto di applicazione del principio di sussidiarietà, anche se diverso da quello concepito dalla stessa Costituzione Ue. Jean-Claude Trichet, predecessore di Draghi al vertice Bce, ha scritto qualche settimana fa che l’Unione fiscale (cioè l’exit strategy europea dalla crisi) è compatibile con la democrazia – cioè: è realizzabile – soltanto se si chiama in gioco l’Europarlamento. La stabilizzazione strutturale dell’euro e lo sviluppo dell’Europa “3.0” (dopo i trattati di Roma del 1957 e quelli di Maastricht del 1991) sono dunque possibili solo se gli impegni reciproci di finanza pubblica – essenzialmente politici – sono condivisi dal confronto (pienamente democratico) fra parlamenti nazionali e parlamento europeo: non solo fra governi e Commissione Ue, i cui membri sono designati dai governi stessi.
Mauro è oggi capodelegazione del Pdl a Strasburgo: ma anche – forse oggi anzitutto – un membro del gruppo Ppe, il grande partito europeo che ha condiviso con il Pse la lunghissima preparazione dell’Europa politica. Un partito che nello stesso nome – “Popolare” – riecheggia il ruolo fondativo dell’Italia nella civiltà europea contemporanea. Nel merito – piaccia o no – il Ppe è oggi il riferimento diretto del cancelliere tedesco Angela Merkel: che ha buone chance di continuare a governare la Germania – al centro dell’Ue – per altri cinque anni dopo le elezioni del settembre 2013, Il Ppe, non da ultimo, è l’unica forza politica cui Mario Monti abbia riservato un’attenzione diretta – istituzionalmente corretta – durante il suo anno di premierato tecnico: all’inizio di settembre, a Firenze, per una riunione periodica dell’ufficio di presidenza dei popolari europei.
Non è sorprendente – anzi, appare del tutto naturale – che Mauro si affacci su una difficile campagna elettorale italiana portando questa sua esperienza. Anche nell’editoriale-manifesto pubblicato su Ilsussidiario, Mauro propone queste tre riflessioni: a) la stagione di Silvio Berlusconi appare superata (a un italiano in Europa), perché trincerata in un anti-europeismo populista che è essenzialmente anti-storico: non serve all’Italia del 2013, non la aiuta a risolvere i suoi problemi; b) i travagli del centrodestra italiano (per un politico italiano di centrodestra) diventano in parte apparenti – e non reali – se si guarda al Ppe: lì c’è un deposito di cultura politico-economica che fin dall’inizio del “secolo breve” promuove in modo convinto le libertà democratiche risalendo alle “radici della civiltà europea” fra le quali la tradizione cristiana primeggia. Lì c’è un’adesione senza riserve al mercato come piattaforma di progresso economico, all’interno della quale cercare anche strategie e meccanismi per garantire “pari opportunità” a tutti; c) non da ultimo, un “politico-italiano – di centrodestra – in Europa” dice che in questa fase Monti dev’essere a bordo della ”governance italiana”, anche se il voto del 2013 – in un Paese come l’Italia – non può che segnare il ritorno della normalità politica interna ed esterna entro la casa europea cui l’Italia democratica ha scelto di appartenere.
In democrazia, deciderà l’opinione pubblica – che sta per vestire i panni dell’elettorato attivo – se e come riservare attenzione a quanto propone Mauro facendo il suo lavoro di politico: risorsa – l’impegno “professionale” del politico, diverso da quello del “professionista della politica” – che tutti nel Paese considerano scarsa al pari di quella “fiducia” di cui si sono inariditi i circuiti dell’economia e della finanza. Certamente, in una competizione elettorale per il governo di un Paese, anche per Mauro sarà necessario riempire il suo “discorso” di contenuti specifici. L’“agenda Monti” in cui dice di riconoscersi, in molti suoi capitoli, non è stata neppure scritta: a cominciare dal campo economico.
Le organizzazioni imprenditoriali, pressocché compatte, chiedono al governo italiano – cioè alla “governance” europea – una correzione di rotta sul rigore fiscale (plasticamente formalizzato nel “pareggio di bilancio” come principio costituzionale): le banche, in particolare, sollecitano una maggior tutela europea delle “pari condizioni” regolamentari per dare il maggior sostegno creditizio possibile a famiglie e imprese.
Un accordo d’intenti su produttività e mercato del lavoro è stato faticosamente raggiunto – sul tavolo del governo – fra le Parti sociali, ma a prezzo di un’ennesima spaccatura sindacale: qual è il nuovo punto d’equilibrio fra flessibilità e sicurezza sociale? Bersani sfida la “rivoluzione liberale fallita” di Berlusconi rivendicando le proprie “lenzuolate di liberalizzazioni” a beneficio dei cittadini-consumatori: qual è la risposta – almeno programmatica – di forze politiche che da sempre rappresentano la “libera iniziativa economica” sancita dall’articolo 41 della Costituzione? Telecom, Eni, Enel, Finmeccanica, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Generali sono imprese “strategiche” per l’Azienda-Paese? Qual è il ruolo delle Fondazioni e della Cassa depositi e prestiti nella “new economy” italiana?
La prima domanda, tuttavia, per Mauro è quasi d’obbligo. Gli ultimi – e forse definitivi attacchi – a Monti su temi di “agenda” sono seguiti a una sua riflessione sull’opportunità di ristudiare il “finanziamento della sanità in Italia”. Il sistema sanitario è uno degli ambiti più leggibili in chiave di confronti europei: come vede un deputato italiano del Ppe al Parlamento europeo la sanità italiana? Al massimo cinque riflessioni, almeno una proposta. Grazie.