Nonostante gli anatemi di Luigi Zingales (perfino contro il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco), la quota detenuta da Via Nazionale nelle Generali sarà trasferita al giovane Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Forse la prima notizia è proprio questa: Visco – già allievo dell’esclusiva Wharton School, nella prestigiosa Ivy League della costa atlantica Usa; e già ex capo economista dell’Ocse – non ha avuto dubbi per la soluzione tempestiva di un conflitto d’interesse oggettivo.
Per separare il nuovo ruolo di vigilante unico di banche e assicurazioni di Bankitalia (presidente dell’Ivass è il direttore generale Fabrizio Saccomanni), il governatore allevato da Mario Draghi non ha pensato né a vendite sul mercato – a valori attualmente insoddisfacenti -, né alla costruzione di “blind trust” – che probabilmente esistono solo nei manuali -, né tanto meno a trattative con altri grandi soci del Leone. E non si è preoccupato dei “professionisti dell’anti-Italia” che d’Oltreoceano non perdono occasione per criticare la (presunta) distanza fra la realtà finanziaria italiana e la (presunta) efficienza dei modelli anglosassoni.
Palazzo Koch, d’altronde, ha fatto di più: ha voluto massimo accreditamento al Fondo strategico italiano, concepito meno di un anno fa – ma sembra un’eternità – da Giulio Tremonti, ancora super-ministro dell’Economia. La Cdp “banca d’investimento” era stata una sua idea, nata peraltro da un’emergenza: trasferire quote di Enel, Eni e Poste a un veicolo che desse al bilancio dello Stato la flessibilità chiesta dall’Europa, coinvolgendo soggetti formalmente non pubblici come le Fondazioni.
La filiera dei fondi strategici a valle (primo fra tutti F2I per le infrastrutture e poi quelli orientati al social housing, co-partecipati da banche e investitori istituzionali) aveva segnato la fase “2.0”. Il Fondo strategico italiano – ritagliato su matrice francese – avrebbe dovuto essere impiegato per bloccare la scalata francese a Parmalat: fra mille polemiche, che un anno dopo sono peraltro tutte rivolte verso Lactalis e stanno interessando la magistratura.
Il fondo – presieduto dall’amministratore delegato della Cdp, Giovanni Gorno Tempini – ha già impegnato parte dei 4 miliardi di dotazione iniziale: rilevando per 200 milioni il 46% di Metroweb, gestore di fibra ottica in grandi città italiane (operazione in appoggio a F2I); e poi per 150 milioni il 18,7% di Kedrion, azienda toscana operante nei plasmaderivati. Già pianificato – per 300 milioni – un impegno per presidiare l’italianità di Avio, gruppo aerospaziale oggi controllato da un polo di fondi di private equity.
L’intervento da 910 milioni in Generali vedrà la Banca d’Italia conferire il suo pacchetto a Fsi ricevendo in cambio azioni: probabilmente privilegiate per accentuare l’effetto-sterilizzazione della partecipazione sul versante della governance. Via Nazionale continuerà invece a beneficiare degli eventuali recuperi di valore del titolo triestino, ovviamente miscelando la sua combinazione rischio-rendimento con quella della Cdp e di Fintecna, finora soli azionisti del Fondo rispettivamente con il 90% e con il 10%.
Se voi foste Goldman Sachs o Warren Buffet o un fondo sovrano del Golfo non vorreste investire in un fondo a cui ha voluto partecipare la Banca d’Italia apportandovi un discreto pacchetto di Generali a prezzi non sopravvalutati? A proposito, un fondo del Golfo è praticamente già a bordo: meno di un mese fa il premier Mario Monti in persona è volato nel Qatar per cementare una partnership fra Fsi e Qatar Holding. Base: 300 milioni; obiettivo a 4 anni: 2,4 miliardi di investimenti. Nome dell’iniziativa: IQ Made in Italy venture, ufficialmente orientata a turismo, fashion, luxury, ecc. Un investitore misto di Italia e di globalità, estratto da uno dei più ricchi giacimenti di capitali contemporanei. Un socio ideale per le Generali: sicuramente per quelle del nuovo Ceo Mario Greco.
Comprensibile il disagio di altri grandi azionisti italiani: avrebbero forse preferito mantenere la buona vecchia Banca d’Italia in “sano” conflitto d’interesse (che comunque datava sostanzialmente da decenni, essendo il primo azionista Mediobanca, vigilato da Via Nazionale). Invece ora si ritrovano la “nuova Cdp”, appoggiata dal “nuovo Monti”, con il benestare della “nuova Banca d’Italia”.