Avesse compiuto settant’anni e non ottanta – come ha potuto felicemente celebrare nei giorni scorsi – è assai probabile che Giovanni Bazoli sarebbe lui al centro dell’arena politico-economica: al posto di Mario Monti o quanto meno nel ruolo di “grande elettore”, di king-maker, forse addirittura di deus-ex-machina come si sforzano di essere Luca di Montezemolo e molti altri (fra cui l’ex manager bazoliano Corrado Passera). E nel gioco dei “se”, non è illecito pensare che il banchiere bresciano se la caverebbe con più abilità e concretezza sia del professore bocconiano, sia del presidente della Ferrari.

Bazoli – calciofilo verace ed esperto – ha quasi sempre segnato un gol in più dell’avversario di turno, soprattutto quando (come Monti oggi) si è trovato a difendere la palla al centro: dello scacchiere bancario o di innumerevoli patti di sindacato dal Nuovo Ambrosiano a Intesa Sanpaolo. Proprio una decina d’anni fa – del resto – Carlo Azeglio Ciampi gli aveva offerto dal Quirinale di guidare un governo istituzionale (toccò poi a Giuliano Amato). Lui declinò, anche se non gli spiacque ridefinirsi una volta di più “banchiere in prestito”: in licenza fin troppo lunga dall’impegno di costituzionalista alla Cattolica, ma ancor di più dalla fedeltà politico-culturale alla memoria di un nonno parlamentare del Ppi e di un padre costituente Dc.

Dai luoghi e dalle svolte della grande politica, in ogni caso, non si è mai tenuto troppo lontano: il clamoroso “endorsement” del Corriere di Paolo Mieli a favore di Romano Prodi prima del voto 2006 fu mosso direttamente dal Professore, nei suoi panni riconosciuti di erede di Gianni Agnelli come garante di Via Solferino.

Dei suoi primi 80 anni Bazoli ha finito per trascorrerne 30 al vertice di una banca che – dal crac Calvi – è divenuta una delle più importanti d’Europa e sempre di più al centro del grande capitalismo nazionale, fra pubblico e privato, fra mercati e istituzioni, fra finanza, industria, media, cultura, Chiesa. All’inizio di dicembre ha accettato volentieri di apparire nella sede de Il Corriere della Sera alla presentazione di un libro che lo celebrava come “duumviro” dell’Azienda-Paese nell’ultimo decennio, assieme a Cesare Geronzi (e tra poche settimane un altro volume ispirato direttamente dal Professore proverà a collocare la “banca di Bazoli” in una prima prospettiva storiografica).

I bilanci della sua stagione sono quindi già iniziati a opera dello stesso interessato, a livelli che superano di molto la dialettica giornalistica minuta e perfino i bruschi inviti grilleschi che, nelle ultime settimane, gli sono giunti da personaggi come Diego Della Valle o Luigi Zingales: lasciare il campo, accettare una rottamazione che non distinguerebbe fra il ventennio berlusconiano e quanto vi è stato di diverso oppure c’era già prima.

Tutto lascia però presagire che Bazoli sarà ancora in campo, mai troppo lontano dal pallone. Sarà riconfermato Presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo e l’esito elettorale promette di essere favorevole ai suoi tradizionali riferimenti nel centro cattolico e nella sinistra: e chissà se qualcuno fra i suoi familiari (forse il genero Gregorio Gitti più della figlia Francesca; oppure il nipote Alfredo) non parteciperà o alla fine non si affermerà alla competizione politica (per il Parlamento, per la Regione Lombardia, per il Comune di Brescia).

Sicuramente gli impegni che attendono il Professore non potranno rappresentare una semplice appendice a una storia già in parte “monumentalizzata”. La scelta di Enrico Cucchiani come successore di Passera alla guida manageriale di Intesa Sanpaolo (che Bazoli ha condiviso con il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti) rappresenta un approdo apparentemente solido per il banchiere bresciano: esattamente come l’assetto proprietario imperniato sulle Fondazioni e la strategia di privilegiare l’attività di commercial banking. A Bazoli, in fondo, resterebbe soltanto di individuare con calma un suo successore alla presidenza: anche se la possibile chiamata di Gian Maria Gros-Pietro alla presidenza del consiglio di gestione, in occasione dei prossimi rinnovi, potrebbe pre-costituire una candidatura, laddove la Compagnia San Paolo è oggi il primo azionista di Intesa.

Sarà probabilmente su questo terreno, in ogni caso, che Bazoli sarà chiamato a misurarsi nel suo confronto finale con il suo modello di sempre: Enrico Cuccia. Il “patron” di Mediobanca non ha saputo – e probabilmente voluto – garantire un futuro di lungo periodo al suo istituto: non era l’assetto iperfrazionato dell’azionariato, né il management affidato al suo ex segretario e a dirigenti quarantenni a poter difendere la banca d’affari crocevia del Paese e la cassaforte di tante partecipazioni sensibili. E non possono essere i dodici anni trascorsi fra la morte del Presidente onorario e il crac FonSai a far considerare salva l’“eredità Filodrammatici”. Bazoli – dopo aver conquistato un esclusivo rapporto personale con Cuccia negli ultimi anni di vita del banchiere siciliano – ha ambito a proseguirne l’azione come “demiurgo”: da Rcs, alle Generali, a Telecom, anche stando fuori da Mediobanca.

È evidente che, al giro di boa degli 80 anni, non ha affatto abbandonato l’ambizione: la cronaca degli ultimi giorni (dalle suggestioni sulla fusione Intesa Sanpolo-UniCredit al riassetto del Corriere) stanno a confermarlo. Certamente vedere “la fine della storia” non sarà un privilegio personale del Professore o élitario di “happy few”. Bazoli ha sempre rivendicato – non a torto – di agire “per il bene comune e l’interesse generale”: la storia continua.