La partita della Cassa depositi e prestiti va ai tempi supplementari e assume sempre di più i connotati di una battaglia “strutturale” in vista dell’Italia del dopo-voto. C’è ancora tempo un paio di settimane per chiudere il contenzioso Tesoro e Fondazioni sulla conversione in azioni ordinarie del 30% della Cdp controllato da queste ultime: ma la norma di legge suggerita una decina di giorni fa dal Consiglio di Stato tarda ad arrivare.
In Senato – con un blitz promosso dell’Idv – è passato un emendamento bipartisan che obbliga le 88 Fondazioni dell’Acri a un simbolico aggravio dell’Imu (600mila euro in tutto). Non si sblocca invece, a Palazzo Madama, l’emendamento che – nelle attese – fisserebbe nello statuto della Cdp i termini concreti di un compromesso: la conversione al prezzo di un conguaglio che probabilmente supererà il miliardo “offerto” dal presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, ma non di molto. Più che verosimile che la norma arrivi con l’accelerazione del “decreto sviluppo”, ma dietro le tecnicalità da aggiustare è chiaro che almeno una parte del problema è politico.
È poco credibile che a frenare la soluzione siano le “resistenze burocratiche” al Tesoro, indicate da alcune fonti: il ministro Vittorio Grilli è stato per sette anni il direttore generale del ministero, che è stato retto ad interim dallo stesso premier Mario Monti. Se i ministri – ancorché “tecnici” – hanno deciso, non c’è burocrate che possa opporsi. Diverso se il ministro (o addirittura il premier) non vogliono o non possono decidere: il Tesoro, ad esempio, non ha mai rimosso il capo di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, come una larga parte dello schieramento politico sollecitava e si attendeva. Oppure è accaduto che lo stesso Tesoro sia andato clamorosamente in minoranza, pochi giorni fa, nel consiglio Rai: la proposta del presidente Annamaria Tarantola (indicata da Monti) di modificare il regolamento del consiglio è stata votata dal solo rappresentante di Via XX settembre (azionista al 99% della Rai) e bocciata trasversalmente da tutti gli altri sette consiglieri “politici”.
È comprensibile che Monti e Grilli non desiderino apparire come coloro che consolidano – forse definitivamente – quello che si profila come il più importante “apparato” della Terza Repubblica in cantiere: i due economisti-tecnocrati mercatisti sanno di essere nel mirino di forze finanziarie e d’opinione che ne hanno promosso l’ascesa in nome dello smantellamento della vecchia economia statalista. Resta un fatto che Monti, in visita pochi giorni fa al ricchissimo e influentissimo emiro nel Qatar, si è fatto accompagnare da Franco Bassanini, presidente di quel “fondo sovrano italiano” che unico può sedersi a tavoli in cui le poste si misurano in miliardi (di euro o di dollari). Una volta nel Vicino Oriente ci andavano la Comit e Mediobanca (comunque a controllo Iri): ma, appunto, una volta.
Una volta la privatizzazione della Sea l’avrebbe condotta a termine qualche banca di Milano: oggi il clamoroso flop del Comune di Milano certifica invece il ruolo entrale del Fondo 2I, cioè della stessa Cdp e della rete di alleanze bancarie costruita attorno. Non è un giudizio (certamente non sulle eventuali irregolarità denunciate dal Comune di Milano), è una constatazione: senza l’accordo e l’appoggio di Vito Gamberale, Giuliano Pisapia e Vittorio Tabacci non sono andati da nessuna parte.
Analogamente, uno dei pochi progetti-Paese in corso è il “social housing” con la Cdp e i suoi fondi in veste di strumento di una strategia concepita direttamente dalle grandi Fondazioni del Nord con i loro consolidati equilibri di “governance”. Ancora una volta: non è affatto sorprendente che l’agenda (soluzione del caso Cdp e rinnovi in arrivo dei vertici di Cariplo, Cassa Bologna, Cassa Padova, Cassa Firenze, ecc.) susciti spinte, pressioni, “stop and go” a ripetizione. E per un Dino de Poli che si rinnova per l’ennesima volta alla Fondazione Cassamarca, c’è anche un Paolo Biasi che – a Cariverona – si dissocia dalla “linea Guzzetti” e chiede di uscire dalla Cdp.
Il leader dell’ente scaligero è abituato a marciare da solo e non ha mai digerito l’intervento “di sistema” delle 66 Fondazioni in Cdp nel 2004: l’idea era stata di quel Giulio Tremonti che era giunto a un passo dal commissariamento della CariVerona, molto impegnata sullo scacchiere Generali. Oggi può darsi che a Verona conti solo liquidare con plusvalenza un impegno da qualche decina di milioni e sottrarsi a nuovi esborsi: e non sbaglia chi pensa che altri presidenti di Fondazione farebbero volentieri lo stesso.
Però, guarda caso, la CariVerona ha – almeno sulla carta – due importanti dimensioni politico-finanziarie: il polo UniCredit-Mediobanca e una governance dominata, nella città veneta, dal leader leghista Flavio Tosi. In breve: la Cdp (soprattutto in quanto innestata nel BancoPosta) è sempre più un concorrente delle grandi banche, soprattutto di quelle più proiettate verso i grandi affari (F2I resta prima candidato a rilevare la rete Telecom e si parla della Cdp addirittura come possibile “fiduciaria” per il pacchetto del 4,4% detenuto dalla Banca d’Italia in Generali).
La Lega “in transizione” è d’altronde uno dei punti di concentrazione dell’opposizione alle Fondazioni sul terreno più strettamente politico. E l’ulteriore anticipo delle elezioni in Lombardia al 10 febbraio (se verrà deciso un “election-day” un mese prima delle elezioni politiche) potrebbe ulteriormente scaldare lo scacchiere attorno alla Cariplo di Guzzetti: si è già sottolineato in questa nota come l’esito (tuttora incerto) del voto regionale andrà molto al di là del consigliere che la Regione ancora pilotata da Roberto Formigoni pre-designerà entro fine anno fra i 40 del nuovo organo di indirizzo della Fondazione. È verosimile, invece, che fra la probabile candidatura di Roberto Maroni per il centrodestra e quella – già acquisita – di Umberto Ambrosoli per il centrosinistra, Guzzetti avrebbe più di un motivo per preferire l’imporsi del secondo.
Nel frattempo si è dovuto arrendere Giovanni Bazoli: Intesa Sanpaolo non convocherà un’assemblea anticipata per il rinnovo del consiglio di sorveglianza. Vedremo ora se e come il Professore – figlio e nipote di parlamentari – si muoverà sullo scacchiere politico: a favore di Ambrosoli (fra l’altro consigliere di Rcs) e per la riconquista al Pd del Comune di Brescia. Non perdete di vista la figlia Francesca Bazoli (da poco consigliere di Ubi Banca), suo marito Gregorio Gitti e il nipote Alfredo Bazoli, consigliere comunale Pd a Brescia.